L’inchiesta - Il bodyguard prigioniero con altri 3 italiani nel 2004. Poi fu ucciso
«Non è stato un mercenario» I pm riabilitano Quattrocchi La Digos: gli 007 sapevano in anticipo del sequestro
GENOVA - È a un passo dall’archiviazione l’inchiesta aperta a Genova nel 2004, dopo la morte di Fabrizio Quattrocchi in Iraq, per arruolamento illegale all’estero. Il pubblico ministero Francesca Nanni ha chiesto l’archiviazione delle accuse contro Paolo Simeone e la sua ex collega, Valeria Castellani, indagati in base all’articolo 288 del codice penale che appunto punisce «l’arruolamento o l’armamento non autorizzato al servizio di Stato estero ». Paolo Simeone, ex lagunare e ex volontario dell’organizzazione non governativa Intersos, è l’uomo che avrebbe contattato per la missione in Iraq Fabrizio Quattrocchi, poi ucciso dalle «Brigate Verdi». Ma il punto su cui la Procura ha cercato in questi anni di far luce non è il contatto tra Simeone e la squadra di Quattrocchi (abbastanza scontato), è invece la caratteristica di quell’arruolamento: si può configurare come un’attività da mercenari?
Quattrocchi e gli altri tre italiani sequestrati il 12 aprile 2004 in Iraq, Maurizio Agliana, Salvatore Stefio e Umberto Cupertino, svolgevano, hanno affermato i superstiti, attività di security: non azioni di guerra ma sicurezza personale. Non mercenari ma bodyguard. Il servizio, hanno detto, si svolgeva all’interno dell’albergo Babylon o come guardie del corpo nelle trasferte. Per definire i mercenari, soldati senza divisa al soldo di uno Stato estero, la legge italiana indica alcuni requisiti, come, ad esempio, quello di partecipare a «incursioni dirette a mutare l’ordine costituzionale di un Paese». Il confine è quello fra la guerra, o la guerriglia, e la security.
La richiesta di archiviazione della Procura genovese propende evidentemente per la seconda ipotesi. La decisione, ora, spetta al gip: può accogliere e archiviare come richiesto o rimandare al pm le carte. L’esito non è scontato. A Bari è in corso un processo contro Salvatore Stefio, rapito con Quattrocchi, e Giampiero Spinelli proprio in base all’articolo 288 del codice penale. La materia è controversa e soprattutto non esistono precedenti cui fare riferimento.
Le terribili circostanze della morte di Quattrocchi (che disse «Vi faccio vedere come muore un italiano» ai suoi carnefici) sono destinate a far discutere ancora. Anche perché nelle carte della Procura di Genova è contenuto un documento che pone alcuni interrogativi. È un rapporto della Digos che documenta come due giorni prima del rapimento avvenuto il 12 aprile un agente del Sisde abbia telefonato a un dirigente della Digos parlando di due genovesi rapiti in Iraq e chiedendo informazioni su Quattrocchi e Luigi Valle. Valle, amico di Quattrocchi, in quei giorni si trovava a Genova, circostanza che la Digos appurò subito. Nella telefonata dell’agente dei servizi — avvenuta il 10 aprile mentre il dirigente della Digos era di servizio allo stadio di Marassi — si faceva riferimento anche all’Isba, (Investigazioni, bonifica, servizi di sicurezza e allarmi), una delle società con sede a Genova per cui aveva lavorato Quattrocchi. Diversi elementi, non solo il nome di Quattrocchi, ma anche della società Isba, vengono segnalati due giorni prima che il rapimento abbia luogo. Dopo il sequestro la Digos fa un rapporto sulla telefonata e la cosa rimane agli atti. La sera del 10 aprile la notizia che «un genovese» era stato sequestrato in Iraq circolò confusamente nelle redazioni locali, senza trovare conferma. Un lancio dell’agenzia «Reute» aveva parlato di «quattro italiani» rapiti ma come il cerchio si sia poi stretto sulla città di Genova e sul nome di Quattrocchi — che verrà effettivamente sequestrato due giorni dopo e ucciso con un colpo di pistola alla testa — rimane un mistero.
Erika Dellacasa14 ottobre 2009
Fonte: corriere.it
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