sabato 25 aprile 2009

Fascismo e neofascismo. I "nipoti del Duce" tra eredità, novità, persistenze e sviluppi all'alba del nuovo secolo

di Stefano Bartolini

La spinta a scrivere questo breve articolo è giunta dalla constatazione del ripetersi, quando si parla di neofascismo, di certi schemi di lettura evidentemente radicati. Schemi che mostrano da anni la corda, ma persistenti, anche a causa della quasi totale mancanza di tentativi volti ad aggiornare l’armamentario concettuale ed analitico della cultura antifascista. Una cultura farraginosa, timida di fronte ai necessari adeguamenti, spaventata di cadere nell’accusa di “revisionismo”, pur avendo ben presente che l’analisi storica è per sua natura revisionista, che è cosa ben lontana dalla “riabilitazione” o dal “negazionismo” che si cela sotto a quello che erroneamente il linguaggio mediatico ha definito per l’appunto “revisionismo”.
Soprattutto incapace di cogliere la storicità, gli sviluppi e le fasi che hanno attraversato la storia del fascismo dopo il fascismo, anzi a volte ancora tutta tesa a descriverlo come un monolite senza tempo, passibile di essere letto sempre nella stessa maniera, suscettibile all’applicazione dei canoni e giudizi classici usati per il cosiddetto “fascismo storico”, come se si trattasse solo di una sua semplice ripetizione, al massimo un remake di cattivo gusto, con la sostanziale differenza della questione non proprio secondaria riguardante il potere. Senza per questo fare i conti con il fatto che lo stesso “fascismo storico” ha attraversato le sue diverse fasi, mentre oggi il dibattito sui suoi diversi aspetti non solo è più aperto che mai ma è sottoposto a rivalutazioni perniciose e segna il passo ormai da decenni un sostanziale scollamento fra gli orientamenti della ricerca storiografica e una produzione divulgativo-giornalistica orientata in tutt’altra direzione.
Chi scrive ha avuto modo negli ultimi mesi, partecipando a vari ed interessanti incontri organizzati dall’Osservatorio sulle Nuove Destre di Pistoia, di misurare personalmente quanto sia radicata questa forma mentis nella cultura diffusa, comune, dell’antifascismo nella società italiana di oggi. Eppure la storia del neofascismo supera ormai per più del doppio l’arco di tempo del “fascismo storico”. Ciononostante per buona parte degli antifascisti i riferimenti vanno sempre a quanto elaborato dai contemporanei del fascismo storico, a sinistra addirittura sono quelli della Terza Internazionale che definì il fascismo né più né meno che una guardia armata del capitalismo. C’è una riottosità ad adeguarsi, a scendere nell’attualità con alle spalle una lettura dei mutamenti intervenuti nel campo avverso in grado di fornire gli strumenti atti a contrastarlo.
Quando si parla di neofascismo ci si limita sempre e solo a parlare della necessità della memoria, senza poi articolare un discorso su come quella memoria può essere applicata a movimenti e partiti sorti “dopo”, alle politiche che sviluppano nel presente, si sprecano denunce morali, si richiama la strategia della tensione, gli anni del terrorismo nero ecc… Momenti importanti e di una gravità assoluta, certo, ma che decontestualizzati e isolati servono a poco, se si recide il loro legame con le vicende storiche della destra neofascista si perde il filo conduttore del discorso e non possono dunque dare ragione della persistenza e vitalità del fenomeno. Un fenomeno che ha conosciuto suoi specifici processi interni, e forme di dibattito originali anche di alto livello, insidiose, i cui risultati sono ben visibili ma del tutto sconosciuti ai più. Il dibattito politico e mediatico, con la sua occasionalità e pochezza, le interminabili dichiarazioni sempre tutte uguali e di unanime condanna in cui si spendono i politici e le personalità di un qualche rilievo all’indomani di ogni atto di violenza riconducibile alla destra, che tradiscono una sostanziale ignoranza del problema, contribuiscono a questo stato di cose. Ha ragione Pierre Milza quando scrive «esiste in Europa un fenomeno di radicalizzazione politica […] che gli osservatori (politologi, sociologi, storici, giornalisti ecc…) definiscono in modi diversi.
Viene evocata l’irresistibile ascesa del “populismo” e del “nazional-populismo”, senza precisare sempre se questi termini si applichino a movimenti, programmi, personalità o a regimi scaturiti da una matrice di destra o di sinistra. Ci si interroga su che cosa avvicini o distingua le attuali manifestazioni di estremismo, nella sua versione nazionalista (a volte europeista) e xenofoba, da quelle che hanno costellato, per disgrazia del nostro continente, la storia del XX secolo. Questo per quel che riguarda le interpretazioni più “scientifiche”, quelle cioè che nell’immenso corpus editoriale e mediatico che tratta della questione non sono né le più diffuse né le più ascoltate. A queste si preferiscono generalmente spiegazioni meno sofisticate e che meglio si prestano al gioco dell’amalgama e del recupero politico. E vi è una spiegazione più comoda di quella che tende ad assimilare, unicamente e semplicemente, le forme presenti di populismo e di estrema destra al fascismo?»1 O ancora «i termini “ultradestra”, “destra extraparlamentare”, “destra della destra” ecc. si incontrano, sebbene sempre meno di frequente, nel campo lessicale frequentato dagli specialisti di scienze sociali e nella penna dei commentatori politici, senza che il loro uso riveli, da parte di coloro che li maneggiano, altra preoccupazione al di fuori di quella di evitare le ripetizioni»2, uno stratagemma a cui non è immune nemmeno chi scrive.
In questo contributo raccoglieremo il suggerimento dello storico francese. Lo storico può e deve portare il suo contributo, con il suo sguardo attento ai “tempi lunghi”, comparativo, teso a individuare le continuità ma anche le differenze. Lo faremo osservando solo, all’interno del contesto di radicalizzazione indicato da Milza, i gruppi e le elaborazioni concettuali del campo propriamente neofascista. Non ci si propone qui di indicare soluzioni. Questo lavoro fa propria l’osservazione di G.L.Mosse «uno storico è necessariamente più abile ad analizzare i problemi che a risolverli»3, prende atto con coscienza di questo limite e si propone di illustrare i percorsi del neofascismo, spesso tortuosi, con particolare attenzione alle tematiche che hanno una più diretta ricaduta sull’analisi delle organizzazioni esistenti e sui temi che agitano nel presente. L’intento è quello di fornire a chi legge delle chiavi di lettura, delle informazioni cognitive, che li permettano di districarsi nella nebulosa del neofascismo, a volte difficilmente distinguibile, camaleontica, riallacciando i fili della storia dei fascisti dopo il fascismo. Come sostiene Walter Laqueur «il fascismo assomiglia alla pornografia per la sua difficoltà, magari per l’impossibilità, di definirlo in un modo legalmente e operativamente valido. Tuttavia, chi ha esperienza, se lo vede sa di cosa si tratta»4. Non ci si propone di fare “scoop” storiografici ma di illustrare i caratteri peculiari del neofascismo italiano, ripetendo probabilmente ovvietà agli orecchi degli specialisti, ma che diventano necessarie se inserite in una rivista che si propone di raggiungere un pubblico più vasto, e anche meno specializzato, di quello degli addetti ai lavori.
Prenderemo in considerazione solo le organizzazioni oggi più chiaramente riconducibili al campo del neofascismo, lasciando fuori le vicende interne ad Alleanza Nazionale, che hanno una loro specificità, e una trattazione precisa del fenomeno a livello europeo. Questo per due ordini di motivi, quello prettamente pratico della limitatezza dello spazio qui a nostra disposizione e per non appesantire una lettura che rischia già di per sé di essere molto complessa, con il rischio di disorientare il lettore. Non ci nascondiamo che in questa trattazione è lo stesso uso del termine “fascismo” o “neofascismo” a costituire un problema. Basti qui ricordare gli interminabili dibattiti che affliggono la storiografia e le scienze sociali nel tentativo di definire, delimitare, distinguere cosa sia fascismo rispetto alla destra conservatrice, o reazionaria, o controrivoluzionaria, o tradizionalista ecc… quali siano i movimenti e i regimi propriamente fascisti rispetto ad altri ad essi imparentati o comunque vicini o derivati da comuni matrici culturali o da analoghe condizioni politico-sociali e storiche. La discussione può sembrare oziosa ma non lo è. Le Pen minacciava di denunciare chiunque lo definisse di “estrema destra”, esponenti del campo neofascista spesso si dichiarano essi stessi estranei all’ “estrema destra” o alla “destra radicale”. Sono dunque gli stessi neofascisti a percepire per primi l’esistenza di un problema. Qui abbiamo scelto di definire “neofasciste” quelle organizzazioni che si rifanno esplicitamente all’eredità del “fascismo storico”, che presentano caratteri peculiari come la ricerca costante di una “terza via”, che si definiscono in una qualche maniera rivoluzionarie, che nel loro armamentario simbolico e concettuale pescano direttamente all’interno di un background dichiaratamente fascista. Faremo pertanto sempre e solo riferimento al termine di “neofascismo”, anche a costo di risultare ripetitivi. nella convinzione che sia il più adatto per una descrizione capace di indicare una filiazione diretta, qualcosa di più di un eredità, un identità politica ma che al tempo stesso con il suffisso “neo” è in grado di segnalare che ci troviamo di fronte ad un fenomeno che presenta tratti specifici, originali, dovuti al suo essersi sviluppato dopo la catastrofe dei fascismi storici ed all’interno di società democratiche. Su questa strada ancora una volta ci viene in soccorso Milza: «si tratta di un fenomeno assolutamente nuovo, legato all’era postmoderna e postindustriale? Oppure il risorgere, con vesti moderne, delle correnti che hanno attraversato il XX secolo, sia isolate, sia mescolate, sia affioranti grazie a una crisi, si deve al fatto che in realtà esse avevano intrapreso solo un cammino temporaneamente sotterraneo? La mia ipotesi è che dietro al paravento di una certa modernità la destra radicale, pur adattando le sue argomentazioni a una domanda sociale che è evidentemente cambiata da un secolo a questa parte, e dovendo tener conto nei calcoli elettorali dell’adesione ai principi democratici di una maggioranza di europei, sia rimasta fondamentalmente quella che era».
Infine presteremo attenzione, come detto, a tutti quegli elementi ricavabili dalla storia del neofascismo nel secondo dopoguerra che maggiormente fanno sentire il loro peso nel presente, mettendo in luce anche le discontinuità, e tratteremo l’arcipelago neofascista come parte di un unico insieme, utilizzando distinzioni fra le varie organizzazioni solo la dove necessarie, nella convinzione dell’esistenza di un unico humus che, al di là di rivalità dovute a personalismi e di divisioni dovute a diverse scelte tattiche o strategiche ci si trovi in presenza di un fenomeno che poggia tutto sulla stessa base, come dimostra la promiscuità dei militanti nelle piazze e nell’iniziativa politica, la volatilità delle stesse organizzazioni che portano a continui rimescolamenti delle carte in tavola e l’adesione di tutti gli attori agli stessi canoni culturali e politici.
Esistono indubbiamente differenze che a prima vista possono apparire enormi tra, ad esempio, Forza Nuova e Casa Pound, ma se si gratta via la patina e si guarda in profondità si riconoscono gli stessi caratteri, le stesse inquietudini, la medesima tensione verso un cambiamento “rivoluzionario” che sia prima di tutto una “rivoluzione nello spirito”, un rinnovamento spirituale e antropologico, che è esattamente quello che distingue il fascismo dai suoi parenti più o meno lontani.

Il consolidamento del neofascismo nell’Italia repubblicana

Non c’è una frattura temporale fra il “crepuscolo degli dei” italiano che va in scena con la Repubblica Sociale al nord e i tentativi di riorganizzazione di settori fascisti nel resto della penisola. Già dal 1943 nelle zone sotto l’occupazione alleata si registrano qua e la sforzi di gruppi più o meno organizzati per strumentalizzare proteste popolari contro le cattive condizioni di vita ed alcuni sabotaggi6. A fine 1944 comincia ad uscire il settimanale “L’Uomo Qualunque” di Guglielmo Giannini, che si trasforma poi in partito e riunisce intorno a se un area di ostilità alla democrazia con accenti vicini all’ideologia fascista.
L’esperienza avrà breve durata ma lascerà in eredità al lessico politico italiano un termine, qualunquismo, sinonimo di giudizi benevoli verso l’esperienza del ventennio, antipolitica e ostilità al sistema democratico7.
Contemporaneamente già dalla fine del 1945 compaiono alcune sigle clandestine che si richiamano esplicitamente al fascismo, come i Fasci d’azione rivoluzionaria e le Squadre d’azione Mussolini, quest’ultime resesi protagoniste di un atto spettacolare come il trafugamento della salma del Duce. Nascono anche riviste, come “La rivolta ideale”. Ma la vera e propria data di nascita del neofascismo è il 26 dicembre 1946 quando viene fondato il Movimento Sociale Italiano. Fra i suoi promotori vi è Pino Romualdi, già vicesegretario del Partito Fascista Repubblicano. L’MSI raccoglie dentro di se tutte le anime disperse del fascismo italiano L’eredità a cui fa riferimento è quella dei 18 punti del manifesto di Verona, con il suo programma di ritorno alle origini rivoluzionarie del fascismo. Fin da subito nel partito sono distinguibili le due anime che ne contraddistingueranno la storia, e che sono riconducibili alla nota distinzione operata da De Felice tra “fascismo movimento” e “fascismo regime”. Da una parte l’ala più intransigente, rivoluzionaria, protestaria, socialisteggiante, anticapitalista, antiamericana, dottrinaria, che fa suo il periodo iniziale e quello finale del fascismo. Dall’altra un’anima d’ordine, autoritaria, benpensante, tradizionalista, disponibile a integrarsi nel sistema parlamentare per spostare a destra l’asse politico del paese, anticomunista e disposta alla scelta dell’atlantismo per contrastare il nemico storico, più rivolta verso gli aspetti del “fascismo regime”.
Una divisione riscontrabile anche nel divario fra gli attivisti e l’elettorato del MSI. Se i primi resteranno sempre più inclini all’azione, a passare dalle parole ai fatti, specie nelle piazze, l’elettorato missino rimpiangeva i treni in orario, adorava i carabinieri, odiava le minigonne, non sopportava scioperi e contestazioni.
Questa divisione si farà sempre sentire nella lunga storia del MSI, e non mancherà di disorientare il campo antifascista, che si troverà davanti a posizioni a volte antitetiche, contraddittorie, ma provenienti dalla medesima area politica. Paradigmatico in questo senso l’appoggio dato dal MSI alla scelta dell’atlantismo operata dalla DC di De Gasperi. Il gruppo parlamentare missimo, guidato dai moderati, votò l’ingresso nella NATO fra le proteste dell’area nostalgica ancorata all’antiamericanismo della tradizione, visto quasi come un tradimento. Ma al di là dei timori dell’area dura, l’adesione alla NATO sarà per l’MSI solo una tattica in funzione anticomunista che non comporterà per i missini nessuna adesione ai valori del consumismo e dell’american way of life, fedeli in questo all’idea di fascismo come “terza via”.
Al di là di queste divisioni, intorno al MSI si svilupperà tutta una società civile di associazioni sportive, giovanili, sindacali (la CISNAL), di reduci dell’ R.S.I., oltre a riviste ed al quotidiano del partito. I neofascisti conoscevano dall’esperienza del regime l’importanza di avere a propria disposizione una rete capillare capace di captare e organizzare il consenso intorno al partito. Ed anche se l’unità politica in senso stretto del neofascismo durerà solo una decina d’anni, esso riuscirà a impiantare solide radici nella società italiana, a dispetto di una “immaginaria” emarginazione che si realizzerà più nelle stanze della politica parlamentare che nella società. Al momento del suo massimo storico elettorale, nel 1972, quando raggiunse l’8,7 % dei voti, l’MSI contava 400.000 iscritti, 102 federazioni, 4.335 sezioni oltre ai 300.000 iscritti alla CISNAL e i 100.000 giovani del Fronte della Gioventù, 86 parlamentari, un quotidiano, “Il Secolo d’Italia” cinque settimanali e numerosi periodici. Siamo quindi di fronte a un partito isolato sulla scena politica ma non nella società10. Dati che smentiscono la ”cacciata nelle fogne” pura e semplice. Il neofascismo è vivo e vegeto fin da subito nell’Italia repubblicana, la percezione di una sua sostanziale inconsistenza al di là dello stragismo, delle collusioni con i servizi deviati e del terrorismo nero è più il frutto di un abbaglio che la realtà. Tant’è che nei ’70 sarà il neofascismo a mettersi alla guida della ”rivolta” di Reggio Calabria. Il fatto che i suoi percorsi abbiano attraversato strade lontane dai riflettori, i media li dedicavano la propria attenzione solo per fatti di cronaca o di violenza, ha teso ha far scomparire la sua persistenza profonda nella società italiana. Una presenza che certo non va sopravvalutata, il sindacato neofascista non riuscirà mai ad incidere veramente, ma nemmeno trascurata perché mette in rilievo le radici non solo del successo di Alleanza Nazionale ma anche della vitalità delle organizzazioni neofasciste nell’Italia del XXI secolo.
Usando un linguaggio attuale potremmo dire che per molti aspetti la storia del neofascismo nell’Italia repubblicana è stata quella di una cultura politica di tipo underground, invisibile ai più certo ma non per questo inesistente. Va aggiunto che, come accennavamo sopra, negli anni ’70 l’MSI non ha nemmeno il monopolio della rappresentanza del neofascismo, come era avvenuto nei secondi anni ’40 e per buona parte degli anni ’50.
Infatti già dal 1956 il mondo del neofascismo aveva conosciuto la sua prima scissione, antesignana di una lunga serie che porterà il neofascismo italiano ad acquisire i caratteri di un arcipelago di sigle. La linea moderata che tentava di condizionare da destra la D.C. spinse una parte dei suoi oppositori ad uscire dal partito, Pino Rauti in testa, per dare vita al “Centro studi Ordine Nuovo”. Una sorta di organizzazione parallela al partito, con il quale manteneva stretti rapporti, indirizzata a svolgere il ruolo di stimolo critico nei suoi confronti e che all’apice della sua espansione arriverà a contare diverse sedi sparse per l’Italia e circa 100.000 aderenti. Ordine Nuovo sarà un punto di raccolta per l’estremismo neofascista, accentuando i suoi toni antiparlamentari, da cui presero le mosse sia elaborazioni dottrinarie più articolate, sotto il nume tutelare di Julius Evola e delle sue teoria sulla “Tradizione”, ma anche attività militanti che si concretizzavano in assalti e provocazioni contro le organizzazioni avversarie. Un aspetto quest’ultimo che avrà sempre un suo ruolo non di poco peso nella vicenda del neofascismo italiano. Portati alla azione, anche in nome della stessa ideologia, che postulava il primato dell’azione diretta come ebbe a dire lo stesso Mussolini, i neofascisti, soprattutto i giovani, rivelavano una certa insofferenza verso un attività eccessivamente dottrinaria. Da qui una nuova scissione che colpì il Centro studi Ordine Nuovo e che portò nel 1960 alla nascita di Avanguardia Nazionale, di cui facevano parte tra gli altri Stefano Delle Chiaie ed Adriano Tilgher, dove la pratica squadrista faceva la parte del leone.11 Avanguardia Nazionale scelse come proprio simbolo una Odal, una delle lettere dell’antico alfabeto runico germanico, posizionata al centro di un cerchio bianco circondato dal rosso, esattamente come la bandiera del Terzo Reich.
Cominciano infatti a penetrare anche in Italia certe suggestioni provenienti direttamente dal mondo delle SS, la stessa Odal, così come la croce celtica, era il simbolo di una divisione di Waffen-SS. Si consuma nelle tematiche, nei riferimenti culturali e politici e nelle stesse simbologie un distacco dal fascismo italiano in favore di un interesse verso il nazismo ed i fascismi dell’est Europa, soprattutto la Guardia di Ferro Rumena di Codreanu. I giovani neofascisti, ma anche lo stesso Rauti e tutto il gruppo degli evoliani, che dal “maestro” ereditano una visione della “Tradizione” come un entità senza tempo che attraversa tutta la storia dalle epoche più remote, portandoli a guardare con favore alle saghe nordiche ed al misticismo, propugnano un rinnovamento nelle file del neofascismo. E’ anche il riflesso dell’ostilità verso l’M.S.I., giudicato chiuso su se stesso, immobilizzato nella celebrazione pura e semplice di temi nostalgici ed al tempo stesso impegnato in una logica politico-parlamentare che non piace alle nuove leve. Ma il fenomeno è strettamente legato anche ai movimenti che stanno avvenendo nel neofascismo europeo. Si sta sviluppando infatti, in nome del terzaforzismo, tutta una corrente favorevole ad un superamento dei singoli nazionalismi a favore di una “nazionalismo europeo” che sia in grado di svincolare il vecchio continente dalla logica della guerra fredda fra U.S.A. e U.R.S.S. per perseguire una nuova politica di potenza. Non si guarderà mai, da questo punto di vista, al movimento dei paesi “non allineati” ma esclusivamente ad una rifondazioni su basi fasciste delle Europa, recuperando il progetto del Nuovo Ordine Europeo sviluppato dai nazisti. Una sorta di “Europa nazione” alternativa all’integrazione Europea che ha cominciato a muovere i suoi primi e faticosi passi. Le Waffen-SS da questo punto di vista rappresentano un vero e proprio mito. Come è noto Himmler fece organizzare divisioni di SS composte da non tedeschi, la più nota è probabilmente quella del fascista belga Leon Degrelle, già leader del movimento “rexista”, per partecipare alla “crociata” contro il bolscevismo, e per difendere poi l’Europa dall’invasione congiunta del materialismo di marca anglosassone da una parte e dai barbari “rossi” dell’oriente dall’altra. Una vicenda che trovò il suo culmine in quella che viene anche definita come “la difesa internazionale di Berlino”, quando negli ultimi giorni del conflitto i reduci da tutti i fronti dei vari fascismi europei combatterono l’ultima battaglia del nazionalsocialismo. Nel 1963 l’ex SS belga Jean Thiriart fonda la “Jeune Europe” che inaugura nel neofascismo la solidarietà con il nazionalismo arabo contro l’imperialismo statunitense ed il sionismo, di cui in Italia Freda è un importante esponente pubblicando con la sua casa editrice, Edizioni A.R., un opuscolo in cui si schiera nettamente a fianco dei palestinesi. In Italia un gruppo vicino ad Ordine Nuovo, la Giovane Nazione, aderirà alla Jeune Europe. Lo stesso figlio di Pino Romualdi, Adriano, sarà uno dei maggiori ideologhi dell’europeismo neofascista. Non è comunque una novità, tentativi di dar vita ad una “Internazionale fascista” c’erano già stati, nel 1934 con il congresso di Montreux, nel 1951 a Malmö e per tutti gli anni ’50 ad opera del “Nouveau ordre européen”, tutti però naufragati. La novità adesso e che non si tenta più di dar vita ad organismi di raccordo tra vari partiti che si riconoscono affini ma ad un corpus ideologico che superi le divisioni in nome dell’Europa nazione. Un tentativo tutt’altro che semplice anche a causa delle persistenti rivalità nazionaliste. Tuttavia al di là di queste frammentazioni e discussioni ideologiche il neofascismo italiano continua a ruotare tutto intorno al M.S.I., carattere che rimarrà tale fino alla svolta di Fiuggi nel 1995. Nelle piazze, negli scontri, i militanti agiscono insieme, altra caratteristica che accomuna il neofascismo del passato con quello del presente. Spesso Almirante userà l’attivismo dei giovani, anche di quegli appartenenti alle sigle esterne al partito ma che comunque li gravitano intorno, come massa di manovra negli scontri interni al partito. Ci sono rivalità certo, a volte anche dure, ma con la consapevolezza di appartenere tutti alla medesima area, come è per i giovani militanti neofascisti degli anni ‘70 di San Babila a Milano o a Roma. Una parte degli stessi scissionisti di Ordine nuovo, e fra loro Pino Rauti, rientreranno nel partito nel 1969, mentre altri proseguiranno l’esperienza dando vita al Movimento Politico Ordine Nuovo, sciolto nel 1973 con l’accusa di ricostituzione del P.N.F.14. La stessa Avanguardia Nazionale viene sciolta, poi rifondata nel 1970, infine definitivamente sciolta per legge nel 1976.

Le “svolte” degli anni ’60 e ‘70

La seconda metà degli anni ’60 e tutto il decennio successivo segnano un momento particolarmente significativo per la storia del neofascismo italiano. La “strategia della tensione”, il terrorismo nero, l’attività squadristica da un lato e il progetto della “grande destra” almirantiana, la nascita della “Nuova Destra”, l’ingresso di nuove tematiche di riflessione e di propaganda dall’altro sono i momenti caratterizzanti la vicenda del neofascismo.
All’interno del Movimento Sociale il periodo fu caratterizzato allo scontro fra la corrente di Almirante, divenuto segretario nel 1969 dopo la morte di Michelini, e i suoi oppositori. Esponente dell’ala radicale, Almirante portò avanti una politica che non scontentava nemmeno la parte più moderata. Fu la cosiddetta tattica del “doppio binario”. Da una parte il tentativo di tradurre in Italia la nixoniana politica della maggioranza silenziosa, presentando il partito come un baluardo di ordine contro il dilagare della protesta sociale, contro gli studenti “che volevano fare la rivoluzione”, abbandonando almeno esternamente le manifestazioni eccessivamente nostalgiche ed i riferimenti al fascismo, dall’altra un’attivizzazione della base in chiave antidemocratica, squadrista, di opposizione al sistema, recuperando i fuoriusciti ordinovisti. Il tentativo era quello di guadagnare spazio su tutti i fronti. Costruire una “grande destra” che accogliesse i voti del P.L.I. e della destra D.C. senza perdere però i connotati puramente neofascisti e senza abbandonare lo scontro, anche fisico, con i tradizionali avversari. Provare a conciliare gli interessi “borghesi” di ordine con il neofascismo “rivoluzionario”, antiparlamentare, socialisteggiante, movimentista sul piano sociale. Fu una politica che permise al M.S.I. di ottimizzare i propri risultati in una sorta di riedizione del “doppio gioco” di Mussolini agli inizi degli anni ’20, ma i cui limiti erano evidenti. Ed infatti se il 1972 segna l’apogeo per il partito neofascista l’anno seguente, il 1973, ne segna l’inizio del declino, allorché durante degli scontri a Milano in una manifestazione non autorizzata i giovani neofascisti uccisero un agente di polizia.
Difficilmente il Movimento Sociale poteva convincere un elettorato di destra benpensante di porsi a favore dell’ordine quando poi proprio i suoi militanti uccidevano i tutori di quel medesimo ordine in esplosioni di violenza di piazza. Come ha scritto Germinario «il tentativo di costituirsi un’immagine di destra presentabile era definitivamente compromesso»15. Negli anni successivi i moderati tenteranno una scissione, dando vita nel 1976 a Democrazia Nazionale, che porterà via al partito un nutrito numero di quadri dirigenti (17 deputati, 9 senatori, 13 consiglieri regionali, 51 provinciali e 350 comunali) ma otterrà solamente lo 0,6% dei suffragi alle elezioni del 1979 sciogliendosi poco dopo. Come nota sempre Germinario «pur presentandosi come la scissione più traumatica che avesse colpito il neofascismo italiano dai tempi di Ordine Nuovo, nei fatti si trattò di una rottura interna al gruppo dirigente. In effetti, la base rimase compatta nel partito, a dimostrazione di come lo sbandierato revisionismo di Almirante per una destra moderata e conservatrice non avesse mai trovato credibilità tra i militanti»16.
Di tutt’altro segno invece la cosiddetta “strategia della tensione”, frutto dell’incontro dell’estremismo fascista con settori dell’esercito e dei servizi segreti. Le vicende sono ampiamente note. Qui ci limitiamo a richiamarne alcuni aspetti. La data di nascita di questa “strategia” viene convenzionalmente fatta risalire ad un convegno, tenutosi a Roma nel 1965, a cui parteciparono esponenti del neofascismo insieme ad alte cariche dell’esercito e dei servizi segreti, dove vennero sviluppate idee che prevedevano una soluzione di tipo golpista ad una presunta crisi italiana. I neofascisti teorizzarono un alleanza operativa fra le due parti, certi che la nascita del centrosinistra nel 1963 fosse solo il preludio ad una comunistizzazione della penisola dietro al paravento dell’alleanza fra la D.C. ed il P.S.I. Ancora una volta è fuori dal M.S.I. che si svolgono i dibattiti più importanti del neofascismo, non importa se più o meno deliranti. Il partito come abbiamo visto è impegnato in una impossibile operazione di sintesi interna, mentre al suo esterno i neofascisti agiscono. Il colpo di stato dei colonnelli greci del 1967 sembrava confermare la validità di questa strada. La “strategia della tensione” fu il corollario funzionale di quest’opzione. L’idea era indurre nell’opinione pubblica una identificazione tra le lotte politico-sindacali degli studenti e dei lavoratori e la crisi dell’ordine pubblico, magari scaricando anche la responsabilità materiale delle bombe sulle organizzazioni di sinistra protagoniste di quelle lotte, preparando un retroterra favorevole ad un ipotesi golpista e ben disposto ad una svolta in senso autoritario. E’ significativo notare la contraddizione insita in questa strategia all’interno del neofascismo, una peculiarità costante nella vicenda del neofascismo. «Si trattava […] di una soluzione del tutto contradditoria rispetto alla linea politica fin lì perseguita da organizzazioni neofasciste come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Formatesi al di fuori del M.S.I. su posizioni cosiddette “terzaforziste”, di opposizione cioè sia al comunismo sia, sulla scorta delle teorie di Evola, allo stato borghese e a un Occidente giudicato decadente e materialistico, queste organizzazioni finivano per scegliere una strategia che mirava esplicitamente a difendere proprio la società capitalistica occidentale, concettualizzata invece come uno dei nemici da abbattere»17.
Ma accanto ai progetti eversivi c’è, quotidianamente, la violenza nelle strade, nelle scuole. E l’altra faccia della linea di Almirante e dell’attivismo dei militanti neofascisti, che non si ferma alle iniziative politiche.
Anzi, come già all’epoca del primo squadrismo negli anni ’20, la violenza è arma e strumento politico allo stesso tempo, la violenza è la politica. Una violenza che diventerà anche organizzata, dando vita al tristemente noto “terrorismo nero” A Milano tutta la zona intorno a Piazza San Babila diventa un luogo in cui è pericoloso aggirarsi se non si è di dichiarata fede neofascista. Le armi circolano con una certa libertà, comprese alcune bombe a mano, che provocheranno nel 1973 la morte dell’agente di polizia Antonio Marino. A San Babila sono presenti le sedi del FUAN, di Avanguardia Nazionale, e numerosi luoghi di ritrovo dei giovani neofascisti. La presenza nei quartieri, la costituzione di zone “nere”, è importante per l’organizzazione del terrorismo neofascista. E’ da San Babila che prendono le mosse nel 1971 le nuove S.A.M., riprendendo il nome dalla formazione del 1945. E poi nel 1974 Ordine Nero. Sarebbe impossibile qui dar conto di tutta la serie di violenze dispiegate fra la fine degli anni ’60 ed i primi anni ’80. A titolo esemplificativo riportiamo i dati che fornisce Crainz per la prima metà del periodo, il quale sostiene che «lo squadrismo neofascista lancia l’offensiva più seria mai tentata nell’Italia repubblicana, con protagonisti diversi e con connessioni differenti: dai militanti del Movimento sociale italiano alla nebulosa dei gruppi semiclandestini o clandestini; e sino a uomini variamente presenti all’interno dell’esercito, dei servizi, dei più diversi apparati dello Stato. Nel clima che abbiamo evocato, esasperato in modo parossistico dalla stampa di destra ( da “La notte” a “Il Tempo”, e naturalmente a “Il secolo d’Italia) le aggressioni verso sedi e militanti di sinistra – o presunti tali – raggiungono grande intensità. Il peso della destra negli episodi di violenza […] è pari al 95% tra il 1969 e il 1973, all’ 85% nel 1974 e al 78% nel 1975»18.
Uno schema analogo si ripeterà a Roma a fine anni ’70, dove intorno alle sedi del Fronte della Gioventù e del FUAN, che funzionano anche da luoghi di ritrovo ludico per i giovani neofascisti, prenderanno le mosse nel 1976 esperienze come Lotta Studentesca, fondata da Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi e Beppe Dimitri, che nel ’78 diventerà Terza Posizione. Da questo milieu emergeranno i Nuclei Armati Rivoluzionari, protagonisti di un'altra stagione di sangue nella capitale19, che darà il suo contributo al pesante bilancio degli Anni di Piombo. Nel 1980 saranno 8 le vittime dell’ultima esplosione del terrorismo neofascista, a cui vanno aggiunte le 85 della bomba alla stazione di Bologna20.
Vale la pena soffermarsi un attimo su quest’argomento, soprattutto alla luce dell’importanza che riveste nell’immaginario, nella memoria del neofascismo e della destra attuale tutto questo periodo, che per certi aspetti ha sostituito nelle nuove generazioni la memoria della guerra civile del 1943-45. Certo negli anni ’70 il clima che si respira è pesante, la violenza palpabile, ed anche a sinistra viene usata la mano pesante, spesso omicida. Ma quello che viene messo in atto oggi dal mondo neofascista, ex neofascista e post-fascista è un vero e proprio ribaltamento della prospettiva. Abbiamo qui elencato sigle, azioni e dati relativi alla violenza di stampo neofascista negli anni ’70 in maniera funzionale ad un discorso storico teso ad illustrare i vari ambiti in cui si articola l’azione del neofascismo, di alcuni addirittura dobbiamo ancora parlare. Questo per mettere in luce le varie facce e sfumature del neofascismo. Ne emerge un quadro in cui la violenza trova un proprio posto come dinamica rispondente a logiche che sono logiche di azione politica fondative del paradigma neofascista. Una violenza difficilmente controllabile dagli stessi vertici del M.S.I., che se a volte la usano altre volte faticano a contenerla quando risulta scomoda. Emergono anche precisi piani eversivi che fanno centro sulla violenza per perseguire i propri fini. Vista da questa prospettiva appare perlomeno semplicistica e riduttiva la tesi che da anni viene veicolata dalla maggioranza dei media italiani, e dalla classe politica erede del M.S.I., di una violenza come reazione Un vittimismo diffuso che non prova a fare i conti con quel passato ma che sembra esclusivamente preoccupato di fare uso pubblico della storia per immediate esigenze di carattere politico, spostando il tiro del “revisionismo” rivalutativo dagli anni ’40 agli anni ‘70. Ma una lettura dei fenomeni storici non deve e non può procedere in questa maniera, suo compito è ricercare le logiche endogene, prima di quelle esogene, che informano le azioni degli individui. Da questo punto di vista a nostro avviso la violenza del neofascismo negli anni ’70 è prima di tutto il risultato di una cultura politica che vede nella violenza e nell’azione una forma della politica e che ricerca vie eversive oscillando fra soluzioni autoritarie e perseguimento della “terza via”.
Tornando al nostro argomento ci resta da esaminare il terzo, e probabilmente più interessante, aspetto della storia del neofascismo negli anni ’70, quello che dal nostro punto di vista rappresenta il più innovativo ed il più importante per le ricadute che ha sul presente. Ci riferiamo alla Nuova Destra. Corrente di pensiero nata in seno al neofascismo francese alla metà degli anni ’60, concretizzatasi poi nel Groupement de recherche et d’étude pour la civilisation européenne, GRECE, che trova la sua figura di riferimento in Alain De Benoist, la Nouvelle Droite approderà in Italia un decennio più tardi, trovando in Marco Tarchi ed in un gruppo di attivisti legati all’M.S.I. fiorentino il suo terreno di cultura. In quegli anni l’Italia non è attraversato solo da fenomeni di violenza politica e da piani eversivi ma, come è noto, ci sono grandi fermenti, si respira un aria di trasformazione che investirà tutta la società italiana cambiando in profondità le sue strutture ed alcuni suoi modelli culturali nell’arco di poco più di un decennio. Ne sono simbolo le due grandi esplosioni giovanili del 1968 e del 1977, seppur di segno parzialmente diverso, piena di una carica di rinnovamento e di gioia la prima, contestatrice e rivoluzionaria, segnata dalla disperazione e dalla ribellione ma anche dalla tensione creativa degli “indiani metropolitani” la seconda. I riflessi di questi cambiamenti sociali e culturali che investono la società si fanno sentire anche nel mondo neofascista, soprattutto fra i giovani, e non poteva essere altrimenti, che ne sono una componente importante, anzi la più importante dato che l’M.S.I. riscuoteva tradizionalmente un adesione maggiore fra le giovani fasce d’età rispetto la suo peso reale nel paese, ed ancora una volta il paragone corre ai primi anni ’20. Torna a farsi sentire la contrapposizione strategica fra le due anime del neofascismo. Gli scontri del 1968 alla Sapienza ne sono una testimonianza. Se una parte del M.S.I. opterà per la linea d’ordine, dando vita all’assalto alla facoltà di lettere, l’ala più movimentista contesterà questa scelta perché si rendeva conto che avrebbe significato autoescludersi da un movimento studentesco in cui i più giovani ambivano a giocare un ruolo. L’anima rivoluzionaria del neofascismo si sente naturalmente attratta dall’esplosione della contestazione, letta in chiave di rivolta generazionale e antisistemica.. Significativa la nascita dei cosiddetti gruppi di “nazimaoisti”, ispirati da Freda, fra cui Lotta di Popolo, dove si ribalta lo schema evoliano. Non più un’alleanza con i “borghesi” contro il comunismo ma proprio un alleanza con i comunisti contro il sistema.21 Si ripeterà nel ’77, quando i gruppuscoli extraparlamentari si spingeranno a teorizzare un’unità d’azione con i gruppi autonomi della sinistra.
Da queste spinte dunque, contemporaneamente e parallelamente alla violenza squadrista, prende l’avvio un movimento teso a mettere un moto un processo di rinnovamento radicale del neofascismo, considerato ingessato, fermo, immobilizzato nei suoi schemi e chiuso su se stesso. Questi giovani non ne possono più nemmeno degli aspetti “folkloristici” del neofascismo, dei labari, dei saluti romani, della simbologia nostalgica ecc… La parola d’ordine è rinnovare e dissimulare al tempo stesso, dotarsi di nuovi strumenti di analisi e di azione al passo coi tempi e smussare i toni, rendersi accettabili alla maggioranza dell’elettorato conquistato oramai ai valori della democrazia parlamentare22. Non una fuoriuscita dal neofascismo ma un ingresso in grande stile nella società civile.
Questi giovani percepiscono come i loro coetanei un senso di ristrettezza, una voglia di nuovo, e come già detto non poteva essere altrimenti in un Italia che si sta trasformando velocemente dal punto di vista sociale e culturale incontrando notevoli e forti resistenze. Una dinamica che investendo la società italiana nel suo insieme si riversa su tutto lo spettro politico. Ma i giovani della Nuova Destra leggono anche come una dittatura mentale e comportamentale, una sudditanza psicologica, l’adesione dei loro coetanei alle ideologia marxista, a «un insieme di valori materialisti e progressisti in contrasto con un universo mitico simbolico e una concezione spirituale dell’esistenza cui invece questi giovani si richiamavano […] Per molti di loro l’esperienza dei fascismi non era da condannare in blocco anzi andavano recuperati alcuni aspetti quali l’identità collettiva e la giustizia sociale che costituivano i cardini della tanto sognata Terza via. […] Non c’era tra questi giovani missini l’idea di essersi schierati dalla parte sbagliata. Gli errori compiuti dai fascismi erano giudicati altrettanto gravi di quelli commessi da altri regimi»23. Si doveva dunque uscire dalla torre d’avorio dei circoli evoliani, mantenendo però le tematiche da essi sviluppati, aprire alle influenze esterne un partito dalla misera vita culturale interna. Il primo tentativo in questo senso lo mettono in pratica pubblicano una rivista, che si fa beffe degli slogan antifascisti e rilancia l’idea che anche i neofascisti siano in grado di dire la loro, “La voce della fogna”. E’ una rottura. Come scrive Angella «si sperimenta un nuovo modo di concepire l’attività e la militanza politica, un modo che pose in primo piano gli interessi dei ventenni dell’epoca. Mai a destra si erano affrontati in tali termini argomenti quali il cinema, il rock, l’ambiente, il teatro, il turismo alternativo: ecco allora pubblicizzare […] i viaggi in autostop, il sacco a pelo, gli ostelli della gioventù, come simbolo di libertà e di trasgressioni nei confronti di un ambiente, quello della destra, ritenuto eccessivamente perbenista e moralista»24. Viene rivalutato l’elemento femminile, per rispondere all’ondata femminista degli anni ’70. Nascono riviste come Eowyn, che prende il nome dall’eroina di Tolkien, o Donne in lotta, dove si tentava di fornire una visione della donna e dei valori femminili alternativi a quelli del femminismo. Complementarità al posto di uguaglianza, maternità responsabile, rischio di una perdita d’identità della donna. Nascono poi i Gruppi di ricerca ecologica, la rivista Dimensione ambiente, poi Machina, una rivista di cultura e spettacolo, Dimensione cosmica per quel che riguardava la fantascienza e l’astronomia, ed infine i due astri maggiori, Diorama, che recuperava il nome di una rivista di Evola ed era di più alta taratura ed Elementi, che riprendeva il nome della francese Éléments della Novelle Droite, il cui sommario nel 1978 comprendeva uno spettro di tematiche assai variegato: sociologia, identità culturale, scienza politica, comunità, condizione femminile, storia, pitture, letteratura, rivoluzione conservatrice, ideologia, religione, scienza, fantastico25.
Fin qui un rilancio per così dire ovvio, un adeguarsi a tutta una serie di nuove tematiche che le trasformazioni sociali impongono. Ma l’aspetto più insidioso della nuova destra sta nel suo corpus dottrinale: rifiuto di un egualitarismo livellatore giudicato come contrario alla “natura”, una natura che prefigura una società antiegualitaria in nome dell’assunto che non è vero che tutti gli uomini sono uguali, adombrando l’organizzazione di uno stato forte; Un progetto “metapolitico” che porta a criptare le proprie posizioni, ad attenuarle, per combattere la battaglia per l’egemonia culturale preliminare alla presa del potere, quello che è stato definito “gramscismo di destra”; Un richiamo alla convergenza tra le “forze attive” della destra e della sinistra in funzione antisistema nella ricerca della terza via; Un senso di attrazione verso i miti pagani; una dura critica alla democrazia “formale” ed alla società commerciale e materialistica; Una concezione “differenzialista” ed antiegualitaria del rapporto fra le etnie, fra le razze, che postula la convivenza ma denuncia le ibridazioni, gli incroci, è favorevole allo sviluppo “separato”, che è poi l’Apartheid. Non si dice mai esplicitamente che la razza europea sia superiore, ma i riferimenti ad un passato mitico e glorioso, ad una Tradizione carica di tutte le virtù, ad un eredità indoeuropa portatrice, prima del cristianesimo, di un sistema sociale ordinato e conforme alla “natura” sono segnali più che chiari. Un apparato che, come scrive Milza, dopo essere stato opportunamente “decriptato”, può essere utilizzato in maniera molto più offensiva26.
E se è vero che molti degli esponenti della Nuova Destra nel corso degli anni ’80 e ’90 intraprenderanno strade esterne al neofascismo che li porteranno anche molto lontano, è anche vero che tutto questo corpus resta in eredità al mondo neofascista.
Perché l’impatto della Nuova Destra non resta confinato all’interno del dibattito culturale nel neofascismo ma assume anche forme politiche. Questa avverrà nella seconda metà degli anni ’70 per mezzo dell’incontro con la corrente di “sinistra”di Pino Rauti nel M.S.I., portatrice di un programma più attento ai bisogni sociali, a sfruttare i canali della protesta, ad “andare al popolo”. L’idea di Rauti era quella di sconfiggere il P.C.I. sul suo stesso terreno, drenando consensi dalle classi popolari e lanciandosi alla conquista della società civile. Il riferimento era ancora quello al primo fascismo rivoluzionario, considerato più sociale, espressione della “giovinezza” prima che questa venisse trasformata a ideologia ufficiale del regime. Dunque puntare sui giovani, occuparsi dei problemi contemporanei, uscire dall’identificazione con la destra, con il conservatorismo ed il perbenismo, agitare l’alternativa sia al socialismo reale che al capitalismo. Quindi denunciare la tossicodipendenza, l’emarginazione giovanile, occuparsi di urbanizzazione, delle situazioni di
disagio, di degrado del territorio. E nel farlo usare strumenti e linguaggi nuovi, innovare le forme comunicative e dotare il neofascismo di nuove pratiche politiche che lo facciano uscire dall’immobilismo e dalle ripetizione sempre uguale di se stesso. In sostanza rinnovarsi ma nella continuità, senza abbandonare l’identità neofascista.
Da questo connubio nacque l’esperienza dei Campi Hobbit, un vero e proprio punto di svolta per il neofascismo italiano che si lancia alla scoperta dell’universo aggregativo. Anche qui il nome veniva ripreso ancora una volta dalle opere di Tolkien. Il mondo delle sue opere piaceva perché i giovani neofascisti vi leggevano il contrasto fra il materialismo ed i valori dello spirito, del cameratismo, una riaffermazione della comunità basata sugli ideali. Le saghe nordiche ed il mondo guerriero, eroico e fantastico dell’alto medioevo ben si raccordavano inoltre con il pensiero evoliano, in un mix di esoterismo, paganesimo, culto della natura e dell’eroismo, della lotta all’ultimo sangue. La stessa scelta del nome, Hobbit, è significativa. L’Hobbit infatti «evolve sotto la forma di un essere minuscolo e timido “dolce come il miele” ma “resistente come le radici di un albero secolare” e la cui forza, di origine quasi magica, è dovuta “a un’abilità professionale che l’eredità, la pratica e un amicizia molto intima con la terra hanno reso inimitabile”»28. Tutti elementi che faranno delle opere del filologo di Oxford il principale punto di riferimento simbolico e mitopoietico in una fase in cui la voglia di ricerca del nuovo è forte, e si esprime prima di tutto nella rapidissima diffusione di un nuovo simbolo, anche questo derivante dalle stesse fascinazioni, come la croce celtica, che fa la sua comparsa nella seconda metà degli anni ’70 ed è subito un boom che soppianta tutti gli altri29.
I tre campi Hobbit che si svolgono fra il 1977 ed il 198030 segnano dunque uno spartiacque sia nella simbologia che nella pratica politica e culturale. Il modello è quello dei raduni organizzati dai coetanei di sinistra come Parco Lambro o i grandi meeting musicali nazionali e internazionali degli anni ’60 e ’70, verso i quali i giovani neofascisti guardano con sentimenti che mischiano ostilità, invidia e senso di inferiorità, ma anche i Littoriali della cultura e dell’arte affidati alla Gioventù Universitaria Fascista, GUF, negli anni del regime. Lo spirito che anima i campi punta esplicitamente alla rottura con il rituale e la scenografia classica del neofascismo, Hobbit uno verrà definito “il primo festival di musica, spettacolo e grafica dell’estrema destra”, per mettere in grado i giovani missini di comunicare ed esprimersi con gli stessi linguaggi e gestualità dei loro coetanei. La coincidenza con il movimento del ’77 è significativa e la dice lunga da questo punto di vista. Non si voleva ripetere quello che era successo nel 1968, si puntava a giocare un ruolo nella contestazione giovanile, rivendicato anche in occasione della cacciata di Lama da La Sapienza. Quindi largo alle tendopoli, ai graffiti, alla musica, a Pasolini e a De André, a cui si ricorreva volentieri, basta con ingessati dibattiti con i vecchi del partito per favorire momenti di socializzazione capaci di creare un senso di comunità che non fosse solo il cameratismo dell’attivismo squadrista ma un momento ludico ed in comunione con la natura. E se i primi due campi si svolsero in campi da calcio e cortili recintati, il terzo simboleggiava anche nell’ubicazione l’intenzione di agire nella società e rompere l’isolamento del neofascismo, «la scelta del “contesto urbano” (ancorché si trattasse di un borgo disabitato) doveva rappresentare – sia pure come indicazione – il passaggio dalla fase del campo come unità autarchica e chiusa a quella di fatto influente a livello cittadino, sociale»31.
Ovviamente l’altra anima del M.S.I. guardava con diffidenza a questi appuntamenti, quando non con orrore, tant’è che Marco Tarchi, l’Alain De Benoist della Nuova Destra italiana, sarà espulso dal partito del 1981, e la corrente rautiana sconfitta. Ma i campi Hobbit lasciarano il segno in profondità, inserirono temi e pratiche fino ad allora sconosciute se non rigettate dal mondo neofascista, mettendo a disposizione tutta una gamma di punti di riferimento capaci di essere tradotti in azione politica, sociale, culturale al passo coi tempi ed in cui a tutt’oggi pescano a piene mani le esperienze più dinamiche che si muovono nell’arcipelago neofascista.

Il neofascismo rientra in gioco

Gli anni ’80 e ’90 segnano lo sdoganamento del M.S.I. dalla condizione di marginalità politica in cui si era venuto a trovare fin dalla sua nascita, nonostante la grave crisi interna che il partito attraversa nella difficile successione alla segreteria di Giorgio Almirante, morto nel 1988.
Sul piano politico diventa sempre più urgente e pressante l’esigenza di far uscire il partito dall’immobilismo in cui si trovava, mentre dal mondo della politica e della cultura arrivano segnali di apertura che l’M.S.I. deve raccogliere ad ogni costo.
I socialisti al governo con Bettino Craxi già nel discorso di insediamento del governo nel 1983 rilasciano una patente di legittimità al Movimento Sociale, sperando di indebolire la D.C., grosso e scomodo alleato, mentre il leader dei Radicali Marco Pannella aveva partecipato al XIII congresso del partito. Sul piano culturale si attenua l’esclusione del neofascismo, a partire da convegni in cui vengono invitati alcuni suoi esponenti fino a mostre tese a rivalutare l’arte del periodo fascista, mentre il processo di storicizzazione del regime fascista attenua i ricordi più dolorosi e comincia lentamente ad operare la banalizzazione del regime, soprattutto nei documentari televisivi, che dagli anni ’90 opererà a pieno regime.
In questo contesto l’M.S.I. si dimostra incapace di elaborare una strategia politica. Il XIV congresso del 1984 ribadisce le solite formule e l’equilibrio fra le due anime, navigando a vista fra la riaffermazione dell’identità neofascista e tentativi politici, accompagnati da gesti simbolici, che cercano di far uscire il partito dal ghetto.
Così, agli incoraggianti successi elettorali della prima metà degli anni ’80 fanno seguito una serie di tracolli nella seconda parte del decennio. Gianfranco Fini, segretario del Fronte della Gioventù e messo da Almirante alla guida del partito nel 1987, anche se esponente di una nuova generazione dirigente formatasi negli anni ’70, in un primo momento si dimostra incapace di inaugurare una linea nuova. Pesava in questo anche la sua contrapposizione nei confronti della Nuova Destra, contro cui aveva combattuto la battaglia per la direzione del F.d.G. nel 1977, quando Fini guidava la corrente conformista degli almirantiani contro quella non conformista dei rautiani, con alla testa Marco Tarchi32. All’epoca Fini incarnava la continuità dell’immobilismo e si trovò esposto alle dure critiche che arrivavano dall’ala sinistra, con il voto di protesta che cominciava ad indirizzarsi al nord verso il fenomeno nuovo delle leghe, da cui scaturirà poi la Lega Nord, mentre il Movimento Sociale continuava a perdere voti.
Frattanto in Italia si era cominciato a porre, dai primissimi anni ’80, il problema dell’immigrazione, una novità assoluta per la penisola, da sempre terra di emigranti, che trovava la società italiana del tutto impreparata all’accoglienza ed integrazione dei nuovi arrivati, inquietava l’opinione pubblica che guardava con preoccupazione a quanto già avveniva in Francia e Germania e generava problemi sul tema dell’identità nazionale e frizioni sociali. Fini tentò di giocare la carta della xenofobia, ribaltando il rapporto fra l’M.S.I. ed il Front National di Le Pen in Francia, che si era sempre considerato un emulo del neofascismo italiano. Lo strepitoso successo del partito di Le Pen alle elezioni del 1988 era dovuto proprio alla sua dura politica contro gli immigrati, che gli aveva permesso di sfondare nelle periferie urbane da sempre tradizionali bastioni della sinistra, proprio fra quei ceti popolari che maggiormente risentivano dei contraccolpi causati dalla presenza di immigrati di varie provenienze, un processo che è stato descritto in maniera magistrale dallo scrittore francese Jean-Claude Izzo per la città di Marsiglia33. Guardando all’esempio francese Fini cercò di posizionare il partito alla testa della polemica xenofoba, legando «in uno stesso rifiuto dell’altro, l’immigrazione, la disoccupazione, l’insicurezza e la crisi di identità»34 scontrandosi però duramente con Rauti che, raccogliendo le tematiche multirazziali della Nuova Destra ed avendo concluso che la decadenza del socialismo reale spostava l’asse prioritario della lotta contro il capitalismo consumista e materialista, puntava l’indice contro lo sfruttamento del Terzo Mondo gestito dagli Stati Uniti, vero responsabile dell’immigrazione, sostenendo la necessità dell’aiuto “a casa loro”, restando quindi all’interno di un ottica che a prima vista può apparire rispettosa delle differenze ma che in realtà rifiuta qualsiasi contaminazione del corpus nazionale, sostenendo la separatezza, senza attaccare frontalmente gli immigrati solo perché individua l’obiettivo principale altrove, cercando di colpire le cause che stanno all’origine del “male”, senza però uscire fuori dalla visione della “difesa della razza” propria del fascismo storico.
L’ennesimo arretramento elettorale, seppur poco marcato, del 1989 fu il colpo di grazia per la prima segreteria di Fini, che doveva cedere il posto a Pino Rauti, che finalmente giungeva alla guida del partito ed aveva così l’occasione per mettere in pratica una linea sviluppata in lunghi anni di dibattito.
Rauti tentò subito la virata in senso antisistemico del neofascismo. Il suo tentativo era ottenere un travaso di voti dalla sinistra verso l’M.S.I. come successo in Francia ma agitando al posto dell’immigrazione la tematica anticapitalistica, antiamericana, anticonsumista. Rauti puntava ai voti del P.C.I., e non a quelli moderati della D.C., in una logica che ancora guardava al momento protestatario e demagogico del primo fascismo. Per lui il fascismo movimento stava all’opposto della destra, del conservatorismo, e si doveva pertanto recidere ogni legame con quel mondo.
Fu un fallimento completo. Il tracollo elettorale del partito invece di arrestarsi si accelerò nei due anni seguenti. Il travaso di voti da sinistra verso l’anticapitalismo ambiguo del M.S.I. non ci fu, l’elettorato di protesta e ostile agli immigrati premiò chi, come le leghe, adottava la strategia d’oltralpe, scansando una formazione caratterizzata in senso eccessivamente neofascista. La stessa base del partito era molto più sensibile dei suoi dirigenti sul tema dell’immigrazione ed incline a risposte xenofobe, confermando l’impressione che certi livelli di discussione erano rimasti confinati fra alcuni intellettuali del partito senza penetrare nella base militante, che al massimo si dimostrerà sensibile al recupero delle innovazioni comunicative ed ai suggerimenti volti a “criptare” ed attenuare per avanzare a viso coperto elaborati dai teorici della Nuova Destra e del gramscismo di destra. Una ricerca svolta nel 1990 fra i delegati del congresso di Rimini, che riporterà Fini alla segreteria, conferma un identità del M.S.I. più legata all’idea di partito di ordine ed al fascismo regime. Paura per la fecondità degli immigrati vista come una minaccia all’identità nazionale, rimpatrio dei clandestini, nessuna protezione sociale per gli immigrati, antisemitismo, esistenza di una gerarchia fra le razze, disciplina, maschilismo, atteggiamenti paranoici verso i drogati, decadenza morale da arrestare. Ma anche la forte permanenza nella base di idee antisistema, della legittimità all’uso della violenza. Nel F.d.G è poi diffusa una tendenza estremista e attivista, un estraneità alle strutture democratiche, il culto del fascismo e del Duce, la possibilità del ricorso alla lotta armata, il rigetto della diversità e dell’egualitarismo. Le due anime storiche del fascismo continuavano dunque a stare insieme ed a giustapporsi, senza mai separarsi, ma ancora per poco.
E’ questo il partito di cui Fini torna alla guida nel ’91. L’imperativo è il rilancio. Per prima cosa Fini riporta il partito chiaramente all’estrema destra, abbandonando l’idea, cara alla Nuova Destra, della congiunzione con settori della sinistra in funzione anticapitalista. In secondo luogo appronta una strategia tesa ad attenuare i caratteri più manifestatamene neofascisti del partito per poter raccogliere le aperture che erano arrivate negli anni precedenti e rendere il partito maggiormente presentabile. Di lì a poco il terremoto di Mani pulite offrirà inoltre al Movimento Sociale l’occasione di presentarsi, grazie all’isolamento politico in cui era vissuto, come partito serio ed alieno alle pratiche di malaffari che avevano investito il panorama politico italiano. La disintegrazione della D.C. e la fine del socialismo reale, che avevano portato anche alla scissione del P.C.I. consentendo l’attenuazione dell’anticomunismo classico, aprivano spazi inediti di fronte ai quali l’M.S.I. poté presentarsi con una sua verginità morale e trarne il massimo profitto. Si poteva finalmente procedere all’intercettazione del voto di protesta, puntare sulla paura dell’immigrazione e sulle richieste di sicurezza. L’unica urgenza era rappresentata dalla trasformazione del sistema elettorale in senso largamente maggioritario in seguito a Referendum, che imponeva al partito la necessità di cercare alleati in vista delle elezioni politiche. Il problema trovò rapida soluzione nell’alleanza con Forza Italia, il partito fondato in due mesi da Silvio Berlusconi. Per rinforzare la direttrice il partito comincia a cambiare anche veste, e si presenta alle elezioni politiche del 1994 con il nome di M.S.I.–A.N., un cambiamento per ora solo nella sigla, non sostanziato da una reale discussione interna sul fascismo ed il neofascismo. Una spregiudicata azione di marketing politico dunque, che ebbe esito positivo. Il successo elettorale fu strepitoso. Il partito di Fini raccolse il più grande risultato mai arriso ad un partito neofascista con il 13,5%dei voti. La colazione di centrodestra vinse le elezioni e per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana i neofascisti entravano in un governo con 5 ministri e 12 sottosegretari.
Di lì a poco il cambiamento di muta in partito conservatore e rispettose della democrazia fu perfezionato con il congresso di Fiuggi del 1995, che cambiava definitivamente il nome in Alleanza Nazionale e annunciava la fuoriuscita del partito dal neofascismo, condannando il totalitarismo e le leggi razziali del 1938. In molti osservatori sono comunque rimasti i dubbi sulla sincerità di tale operazione. Deciso sostanzialmente dall’alto, il cambiamento non coinvolse né la base del partito né i suoi quadri intermedi e nemmeno per intero tutto il suo gruppo dirigente nazionale, che si limitò a ratificare fondamentalmente per ragioni di tattica. Nessun approfondito dibattito fu fatto all’interno del partito per mettere in discussione le sue radici e troncare nettamente con la sua famiglia d’origine. Prova ne è la discussione interna che va avanti ancora oggi sul giudizio in merito al regime fascista e le frequenti frizioni fra molti dirigenti, che hanno causato anche alcune defezioni. Il sospetto dunque che quello della trasformazione in Alleanza Nazionale voluto da Fini sia stato non il culmine ma semmai l’avvio di un processo rimane, ed è confermato dall’ultima scissione avvenuta nel 2007 da parte di alcuni esponenti del gruppo dirigente contrari alla fusione con Forza Italia in un unico partito della destra, che si sono andati a ricollocare, 12 anni dopo la “svolta” di Fiuggi, su posizione proprie del neofascismo.
In ogni caso al fine più stretto del nostro discorso ci interessa invece mettere in evidenza che la storia del neofascismo nel 1995 non prende tutta la strada del tentativo, reale o presunto che sia, di traghettarsi al postfascismo, sia pure solo da un punto di vista di immagine. Per i rautiani il progetto di Fini era inammissibile. Nel 1995 essi danno dunque vita al Movimento Sociale – Fiamma Tricolore, rivendicando la continuità con il fascismo. Il partito riprende i classici temi rautiani ma, memore della batosta del 1990, opta per una politica decisamente xenofoba verso gli immigrati proponendo il rimpatrio seppur mantenendo la formula dell’aiuto nei paesi di origine per evitare l’invasione dell’Europa e dell’Italia, a conferma della strumentalità delle posizioni di Rauti di qualche anno prima.
Ma con la fine dell’M.S.I. riprende anche la frammentazione. Cominciano a rinascere tutta una serie di sigle neofasciste, che testimoniano della vitalità della sua presenza nel panorama politico e nella società italiana.
Nel 1997 Roberto Fiore e Massimo Morsello, rientrati da Londra dopo esservi stati rifugiati per anni in quanto indagati per la strage di Bologna del 1980, fondano Forza Nuova, che riprende il nome da precedenti organizzazioni svizzere e spagnole. Giorgio Pisanò esce dalla Fiamma Tricolore per fondare il movimento Fascismo e Libertà. Sempre nel 1997 Adriano Tilgher e Tommaso Staiti, che avevano già tentato con Stefano Delle Chiaie di dar vita ad Alternativa Nazionalpopolare, escono anch’essi dal partito di Rauti e fondano il Fronte Nazionale, di chiara ispirazione lepenista, dal 2001 Fronte Sociale Nazionale. Alessandra Mussolini fonda Alternativa Sociale. Nel 2007 la ricordata scissione da A.N. da vita a La Destra e, ultima arrivata, un'altra scissione della Fiamma Tricolore nel 2008 porta alla fondazione dell’Associazione Nazionale Casa Pound. A questi si affiancano, soprattutto al nord, movimenti di tipo naziskin come il Veneto Fronte Skinheads.
C’è quindi un mondo in fermento e dinamico in certe sue espressioni, che non può essere considerato del tutto marginale, che si agita sotto le insegne del neofascismo. Un arcipelago che non disdegna in linea di principio un rapporto con i cugini maggiori, o parenti lontani, di Alleanza Nazionale, avvicinandosi ed allontanandosi per ragioni ora tattiche ora ideologiche, siglando alleanza elettorali e partecipando al medesimo dibattito culturale, contaminandone le forme dell’azione politica. Un mondo che non può essere liquidato come folklore, in quanto capace di produrre forme di azione politica innovativa per il panorama neofascista e che comunque sia sta dando segni di vita in una preoccupante escalation di episodi di violenza.
Come afferma Laqueur «se quindici anni fa questi gruppi erano marginali, oggi alcuni di loro non possono più venire ritenuti irrilevanti»35.

Il neofascismo nel XXI secolo

Vale la pena perciò di gettare uno sguardo al neofascismo del 2000. Ci troviamo di fronte ad una realtà immutata rispetto ai canoni classici della seconda metà del ‘900? Oppure davanti ai nostri occhi si muovono organizzazioni portatrici di proprie peculiarità? La risposta non è univoca. In realtà entrambi gli elementi sono presenti, a volte disgiunti, a volte riuniti sotto la stessa sigla. Alcune organizzazioni poi, come ad esempio Forza Nuova, propongono un curioso mix di aspetti e fasi diverse della storia del neofascismo.
Innanzitutto quello che sembra maggiormente risaltare all’attenzione sono le eredità ricevute dalla Nuova Destra e le sue rielaborazioni. Il neofascismo oggi si propone essenzialmente come una cultura dell’”alternativa”. Le sue espressioni si rifanno a quella voglia di un linguaggio diverso, anticonformista ed al passo coi tempi che abbiamo visto esprimersi nei campi Hobbit. Certo da allora i vari aspetti si sono maggiormente articolati. Ad esempio sul piano delle culture musicali esiste oggi tutto un filone di musicaneofascista, autodefinitasi “musica alternativa”, che pesca un po’ in tutti i generi, dal rock all’heavy metal fino ai vari tipi di musica acustica. Ovviamente il riferimento all’”alternativa” è tutto politico, e non riguarda una qualche innovazione o specificità nei generi musicali ma il porsi delle varie band come gruppi militanti, contrarie al sistema ed alternative ad esso in senso fascista. I nomi stessi sono significativi: Zetazeroalfa;
Legittima offesa; Hobbit. E’ nei testi che si esprime la carica politica, spesso eversiva, di questi gruppi, con continue esaltazioni dello scontro con la controparte di sinistra, i “compagni”, le forze dell’ordine ed il sistema, non tralasciando una celebrazione nostalgica del fascismo storico, e spingendosi fino all’inserimento di temi antisemiti e negazionisti nei confronti della Shoah. La musica funziona quindi da strumento per veicolare il messaggio neofascista, uno strumento particolarmente efficace verso i più giovani, fornendo elementi di identificazione simbolica e mitica ma anche nei costumi stessi. Tant’è che molti aspetti del neofascismo presente assumono forme quasi prepolitiche, come il seguire particolari stili di vita, il caso degli Skinheads è illuminante, che si richiamano direttamente ad un’appartenenza identitaria ben riconoscibile. E’ evidente l’influenza di quanto avvenuto nelle varie generazioni dagli anni ’60 e ’70 in poi, dove le questioni afferenti al look ed alla musica sono diventate espressioni di particolari identità. Un modello dalla forza aggregativa non indifferente, specie fra i giovanissimi, che tende per sua natura a presentarsi come totalitario, inculcando modelli comportamentali che tendono all’univoco e ad un marcato senso comunitario di tipo cameratistico, è che è stato ripreso dal neofascismo che vi ha giustamente intravisto un ottimo canale di reclutamento e compattazione. Lo stesso avviene negli stadi, altro terreno privilegiato dell’azione del neofascismo negli ultimi anni. L’identificazione operata dai neofascisti tra gli Ultras e loro stessi è automatica, le campagne Ultras ricompaiano direttamente fra le tematiche agitate dai gruppi neofascisti. Non solo, anche il linguaggio e la simbologia è soggetto ad un travaso in ambo le direzioni. Quello delle curve è un prezioso serbatoio in cui si può esprimere la carica di rivolta antipolitica del neofascismo, facilmente indirizzabile da un complesso ideologico ambiguo e malleabile come quello fascista, un banco di prova per certe campagne di tipo sociale ed una prezioso punto di reclutamento, anche nella direzione di un attivismo di tipo squadrista. Anche qui alcuni elementi della cultura Ultra agevolano il compito. Infatti il sentimento comunitario-cameratesco dei gruppi di tifosi, il senso di orgoglio che continuamente ribadiscono così come un culto della squadra e della città che riecheggia i temi del nazionalismo più esasperato, l’idea di essere da soli contro il sistema, identificato nelle forze dell’ordine, una certa dose di maschilismo e il mito dell’eroismo, sono tutti elementi che oggettivamente avvicinano il mondo delle tifoserie all’amalgama ideologica del neofascismo, specie di quello più militante ed incline alla violenza.
Ma al di là degli aspetti aggregativi l’eredità della Nuova Destra e del pensiero rautiano si esprime anche nel campo più squisitamente politico e culturale in senso più alto. Ecco allora che nei vari blog neofascisti compaiono intere sezioni dedicate all’ambientalismo, alle problematiche sociali, alla letteratura, al cinema, ai problemi del lavoro e della casa. Vengono promosse campagne a favore di una ripubblicizzazione delle acque, come il progetto H2O, contro le morti bianche, si organizzarono banchini dei libri usati per gli studenti, si effettuano distribuzioni gratuite del pane e della pasta. A volte l’eredità del fascismo è diretta, come nel caso delle campagne contro il caroviveri, le stesse che venivano agitate dallo squadrismo nel 1921, o come nei riferimenti al potenziamento dell’industria nazionale contro la concorrenza estera, riassunte nello slogan “compra italiano”, che si richiamano direttamente ai progetti autarchici. Altre volte è più sfumato, come la ripresa dell’agitazione contro le banche, che si rifà alle teorie di Ezra Pound. Altre campagne sono puramente demagogiche, con alcune punte di razzismo, come quella per il “mutuo sociale” che si propone di risolvere il problema della casa, solo per gli italiani e non per gli immigrati, attraverso un macchinoso meccanismo di enti che ben si presta al suo uso propagandistico, tant’è che vi è stato inserito anche un passaggio contro le banche, ma che all’atto pratico risulta uno specchieto per le allodole.
Permangono poi tutte le tematiche classiche del fascismo come terza via, come l’antiamericanismo, l’anticomunismo, seppur più sfumato dopo la caduta del muro. Si segnala invece il vigore di un filone che si definisce come anti-antifascista, cercando così di scavalcare la tradizionale dicotomia tra fascismo e antifascismo, per riaffermare in sostanza il primo svalutando e ridicolizzando la cultura ed i valori antifascisti senza però definirsi per quello che realmente è. Continua poi la solidarietà con il mondo del nazionalismo arabo, in funzione antiamericana ed antisemita, che viene però a stridere con certi toni aniislamici che hanno preso piedi dopo l’11 settembre nell’ottica dello scontro di civiltà e che vengono usati strumentalmente nelle campagne xenofobe contro gli immigrati, che caratterizzano tutto il neofascismo. La contraddizione è evidente. Ci si scaglia contro la società occidentale, consumistica e materialista, per poi difendere proprio quell’occidente, quella civiltà, quelle culture dall’invasione dei barbari che attentano alla sua integrità. Infine riprende fiato un tema che non era più stato all’ordine del giorno dai tempi del fascismo storico, la cosiddetta omofobia, l’odio verso gay e lesbiche, che ritrova vigore e brilla della luce riflessa dalla battaglia intrapresa dalla chiesa cattolica su questo tema.
Novità interessanti sono invece la precoce attenzione e valorizzazione dell’uso dei nuovi media come internet, che è divenuta da anni il punto di raccordo e di maggior propaganda delle organizzazioni neofasciste sia a livello nazionale che internazionale, l’adozione di pratiche di azione politica riprese direttamente dal movimento no global, la nascita di spazi occupati del neofascismo, anche questi pensati e creati nel mondo della sinistra. Tutti aspetti che il vangelo politico della Nuova Destra ha insegnato a prendere in considerazione, senza rigettarli in quanto tali ma appropriandosene cambiandogli di segno. In questo sta a nostro avviso l’eredità più forte lasciata al neofascismo dalla Nuova Destra. Un modello di analisi e di azione politica che sia capace di scorgere sempre il nuovo, di recuperare tecniche sviluppate altrove, senza ricadere nell’immobilismo e nella celebrazione rituale di se stessi sempre uguale che aveva attanagliato il neofascismo nella sua prima fase. Ma i neofascisti di oggi sono riusciti anche a liberarsi dei complessi di inferiorità e della eccessiva voglia di svecchiamento dei loro predecessori negli anni ’70, e sono tornati a rivalutare e riesibire a gran voce i simboli, le idee, i volti e le parole del passato regime, cosa che avrebbe inorridito i teorici della Nuova Destra tutti tesi all’innovazione è che dei vecchi simboli, della nostalgia, non volevano più sentir parlare. Compaiono così mostre sul fascismo di Salò, si riprendono vecchi slogan, si esibisce l’eredità del fascismo storico con orgoglio.
Accanto al dato politico e culturale, ritorna a livelli emergenziali la violenza di strada, la pratica squadristica, in un crescendo che ha visto il 2008 costellato di episodi di violenza anche gravi ed inquietanti. Il neofascismo del XXI secolo in questo è uguale a quello del ‘900, e la dove riesce a mettere radici da subito il via ad una prassi di violenze, di attacco verso i diversi e le organizzazioni avversarie che accompagna la sua iniziativa, riaffermando ancora una volta il paradigma della violenza non come corollario ma come strumento e linguaggio politico.
Tornando alle sue articolazioni organizzative, il neofascismo attuale sembra pervaso dall’ansia verso la ricostituzione di un unico partito, senza però riuscire a raggiungere questo obiettivo sia per un accentuato frazionismo sia per l’impossibilità ad oggi di individuare un gruppo ed un leader che possa porsi come punto aggregante e ricomprendere al suo interno le altre organizzazioni. Fino ad oggi ha tentato di assolvere a questo compito la Fiamma Tricolore che nelle ambizioni di Rauti doveva svolgere questo compito in maniera pressoché naturale. Ma come abbiamo visto il partito si è sfibrato in numerosissime scissioni, una attuata dallo stesso Rauti dopo che si è venuto a trovare in disaccordo con il suo successore alla segreteria Romagnoli, ed oggi sembra un’organizzazione sfibrata e sul punto della scomparsa.
Il gruppo di fuoriusciti da A.N., con Buontempo e Storace, ha dato vita ad un classico partito di tipo neofascista che ricalca l’M.S.I., con tanto di tutte le celebrazioni classiche e le sue simbologie. Si propongono come il partito politicamente più rilevante, ma sembrano mancare di dinamicità ed attrattiva da questo punto di vista. Il loro è il programma più strutturato che si rinvenga nel neofascismo italiano di oggi, ma questo non sembra bastare a porli al centro di un progetto riunificativo. E’ comunque interessante esaminarlo perché riprende molti degli argomenti finora trattati. Nel Manifesto dei valori si afferma in prima battuta di voler attualizzare idee, valori e principi senza negarli. Da lì si passa subito ai temi evidentemente evoliani che pongono l’accento sulla Tradizione che attraversa tutta la storia ed ancora una volta pregni di un nazionalismo aggressivo ed espansionista di antica memoria. «Convive in noi, non solo perché ne siamo eredi, un profondo legame con la storia e la tradizione del nostro popolo insieme ad una volontà futurista di modernizzazione e di proiezione dell’Italia a giocare un ruolo da protagonista nello scenario globale.
Attualizzare ed affermare la nostra identità politica ed esistenziale; riconciliare politicamente la Tradizione – come forma non statica bensì dinamica, che si sviluppa con il mutare delle civiltà – con la modernità e il presente». Si continua poi affermando di concepire la Libertà come un insieme di diritti si della persona ma anche della comunità e dei popoli, ed è nota la china su cui scesero i fascismi nell’affermazione della libertà delle proprie comunità e dei propri popoli, diritti che coesisterebbero con le dimensioni del Sacro e del Bello.. Si riafferma poi il valore fondamentale della famiglia, si denuncia il rischio di una perdita di valori della nostra società romana e cristiana che affonda le sue radici nel diritto naturale. Si recupera anche il nazionalismo di Corradini espresso anche dal programma del P.N.F. del 1921, che definì la nazione non come la semplice somma degli individui ma «un organismo comprendente la serie indefinita delle generazioni»36 di cui lo stato era incarnazione giuridica ed i suoi istituti erano efficaci in quanto i valori della nazione vi trovavano attuazione e tutela. Si legge infatti nel Manifesto de La Destra «pensare uno Stato nuovo, non più astratto contratto tra individui atomizzati ma patto tra le generazioni presenti, quelle passate e quelle a venire». Trova posto l’agitazione della terza via, con lo Stato posto ad argine di anonime ed inquietanti centrali finanziarie e multinazionali, che evocano lo spettro delle plutocrazie e del potere finanziario giudaico. Si va avanti con l’idea del produttivismo, anch’essa vecchio tema caro a Mussolini, passando per l’appoggio a forme di socializzazione delle imprese, e qui siamo a al decreto del governo di Salò, per giungere a quella che è una vera e propria dichiarazione di ricerca della tanto agognata terza via:
«fuggire l’idea che la Vita possa ridursi al mercato, nuova forma di idolatria che caratterizza gli adepti di quell’ideologia mercatista che si va diffondendo e che rappresenta la sintesi aberrante dei peggiori presupposti del meccanicismo marxista con il substrato di fondo di certo liberismo materialista». Dopo queste alte dichiarazioni di intenti ideologici dichiaratamente fascisti, il Manifesto passa su questioni più particolari, come le donne di cui si vuol rinnovare l’apprezzamento dei valori autenticamente femminili e il ruolo di motore della famiglia. Si chiede di vivere l’identità e l’appartenenza nazionale come missione rispettando la «naturale ambizione mediterranea» e «una vocazione universale che torva le sue fondamenta nella nostra storia più antica». Nei confronti degli immigrati si fanno tutte le professioni antirazzistiche che sono consigliate in questi casi salvo poi affermare che il modello da costruire deve essere lungi dall’essere multiculturalista, deve rifuggire l’idea di facili integrazioni, puntare ad un modello di identità arricchita che tenga presente senza pretese materialiste l’esistenza di dati antropologici legati alla terra, alla cultura ed alla storia dai quali non si può prescindere, suggerendo di pensare a politiche che aiutino le popolazioni più bisognose a restare nei propri paesi. Per il resto il Manifesto procede fra continui riferimenti ad un passato proiettato sul futuro ed ai valori della patria, mentre il programma strizza l’occhio alla chiesa, affermando che la vita è sacra, si spende verso la tutela della maternità e per un nuova politica demografica di aumento delle nascite e contro l’aborto, passa poi ad esaminare le proposte di Ezra Pound sull’emissione di moneta, si occupa del problema abitativo sostenendo il criterio della preferenza nazionale, si schiera con il progetto H2O, auspica una scuola in linea con la tradizione gentiliana e volta a valorizzare l’identità nazionale «annientata dalla cultura post-sessantottina che vuole educare i nostri figli come individui sradicati, cosmopoliti e privi della conoscenza della propria storia e della propria memoria», soffermandosi significativamente su questo tema dell’identità nazionale, ossessione da una parte ma anche chiara strategia di tipo xenofobo per intercettare le inquietudini presenti nella società, rincarando la dose. «Identità: a maggior ragione ribadiamo questo nostro pensiero nel momento in cui sempre più sono compagni di classe degli studenti italiani migliaia di immigrati e i loro figli.Per voluta e decisa polemica ribadiamo qui la nostra assoluta contrarietà all’insegnamento del Corano o di qualsivoglia altra Religione diversa da quella Cattolica nelle nostre scuole». Si parla poi di detassazione per le imprese interamente italiane, di un capitalismocomunista attuato dai dogmi liberisti dell’Occidente, di interesse industriale italiano che coincide con l’interesse di famiglie, consumatori e lavoratori in un chiaro modello corporativista, di Terza Via per la modernizzazione, ci si appella ai lavoratori agricoli che lavorano la terra dei propri antenati e per questo naturalmente sensibili alle tematiche della destra, si chiede l’autonomia energetica pronunciandosi comunque contro il nucleare. Sulla sicurezza il programma ripete la tipica argomentazione xenofoba di una attinenza della criminalità e del terrorismo con l’immigrazione, soprattutto clandestina, e quindi rilevazione delle impronte digitali agli stranieri, numero chiuso nella città per gli stranieri, ed in particolare per i Rom, divieto del velo, autorizzazione del ministero dell’interno per le nuove moschee, e sermoni religiosi in lingua italiana, come già fatto dal regime nei confronti dei preti sloveni e croati che dicevano messa nella lingua madre dei propri fedeli. Soppressione delle leggi sui reati di opinione, come apologia di fascismo e la legge Mancino. La paranoia degli immigrati ritorna subito dopo sotto la forma dell’incubo di città italiane che sembrano città di altri paesi del mondo, prospettando un futuro da stranieri in casa propria e di colonizzazione delle vita quotidiana37.
Un programma che dunque non lascia dubbi sulla sua matrice, e che riporta fedelmente una sintesi delle persistenze interne al neofascismo filtrate attraverso un linguaggio che risente della volontà di attenuare tipica delle Nuova Destra, tant’è che non si fa mai nessun esplicito riferimento né al fascismo né a nomi di personaggi troppo compromettenti.
Forza Nuova invece presenta caratteristiche meno criptate. Tutto il suo armamentario simbolico proviene direttamente dalla lunga esperienza fascista e neofascista. Il simbolo è cambiato diverse volte, nella ricerca di un logo moderno, senza tralasciare di utilizzare alcune rune. I manifesti spesso riecheggiano la bandiera del Terzo Reich. I suoi adepti comunque dichiarano di preferire la simbologia nostrana e la croce celtica ai simboli nazisti. Il nome della sua organizzazione giovanile, Lotta studentesca, è lo stesso del gruppo da cui nacque Terza Posizione, e osservando il partito si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un gruppo rimasto uguale a quelli degli anni ’70 che prediligevano l’azione diretta nelle strade. La tematica negazionista e antisemita trova grosso risalto nella politica culturale di F.N., insieme ad un marcato europeismo che ricorda quello dei primi anni ’60. Ma il partito comprende al suo interno anche band musicali, organizza campi giovanili sulla falsariga dei campi hobbit, si muove nella rete con numerosi siti ufficiali e non ed un forum per i militanti, intraprende campagne sociali sulla casa, le morti sul lavoro, il carovita. Il suo programma è più stringato rispetto alle lunghe elaborazioni de La Destra, ma anche per questo più facilmente veicolabile.
Resta comunque legato ad un idea più tradizionalista e reazionaria, articolandosi in “otto punti per la ricostruzione nazionale”: abrogazione delle leggi abortiste; Famiglia a crescita demografica al centro della politica di rinascita nazionale, dove si parla anche di lotta alle droghe, di abrogazione del divorzio, di ruolo della donna a casa e nella famiglia, di politiche architettoniche; Blocco dell’immigrazione ed avvio di un umano rimpatrio, ed anche qui emerge l’idea dell’aiuto nei paesi di origine; Messa al bando di massoneria e sette segrete, indipendenza militare dell’Italia, lotta alle lobby antiitaliane, ed il riferimento alla cospirazione ebraica è chiaro; Sradicamento dell’usura e azzeramento del debito pubblico; Ripristino del Concordato Stato – Chiesa del 1929; Abrogazione delle leggi liberticide Mancino e Scelba, ciò le leggi che vietano l’apologia di fascismo e colpiscono i reati in materia di discriminazione etnica, religiosa e razziale; Formazione di Corporazioni per la difesa dei lavoratori e della comunità nazionale. L’organizzazione giovanile di Lotta studentesca parla nello stesso modo: investimenti a favore dell’edilizia scolastica; Lotta alle droghe; Contro il caro libri; Lotta la faziosità dell’antifascismo imperante nei programmi didattici; Corsi di aggiornamento per i docenti e sport. Come si vede, a parte una maggiore strizzatina d’occhio ai settori più intransigenti della chiesa, e l’evidente riproposizione di temi e parole d’ordine proprie del fascismo storico, i temi che si agitano sono anche qui quelli che troviamo nel programma de La Destra e che costituiscono dunque un humus comune a tutto il neofascismo. Forza nuova si segnala tuttavia per essere il gruppo la cui modalità operativa si dispiega maggiormente in azioni violente, che giungono spesso agli onori delle cronache e rasentano l’eversione, destando molti dubbi su cosa significhi nel concreto la promessa di impegnarsi reprimere le attività economiche degli immigrati sul territorio italiano.
Ultima arrivata in casa neofascista è invece Casa Pound. Il gruppo presenta le caratteristiche maggiormente innovative. Deriva direttamente dalle esperienze delle occupazioni di stabili avviate dal neofascismo ad inizio anni ’90 e principalmente nella zona di Roma, animate dallo stesso spirito comunitario è ludico che contrassegnava i campi hobbit. Il percorso di CasaPound è articolato. Nata come occupazione a scopo abitativo nel 2003 a Roma nel quartiere dell’Esquilino, è andata via via strutturandosi in maniera sempre più organizzata riuscendo a far nascere anche alcune filiazioni, come Casa Pound Latina. Dopo aver transitato all’interno della Fiamma Tricolore, rivendicando però la propria autonomia, nel 2008 ha dato vita ad una scissione, essenzialmente per motivi di leadership, fondando l’Associazione Nazionale Casa Pound Italia, che si è tirata dietro buona parte dell’organizzazione giovanile della Fiamma e che sembra costituire oggi un embrione di partito. I suoi punti forti sono la lotta all’usura, il mutuo sociale, la lotta al carovita, la creazione di spazi non conformi. Il suo leader, Iannone, è un fanatico della comunicazione nonché cantante del gruppo di punta della musica alternativa, gli Zetazeroalfa. Su suo impulso si è dato vita ad una radio in streaming, Radio Bandiera Nera, il cui slogan è “liberi belli ribelli”, a riviste e bollettini come “Fare quadrato”, sono state aperti numerosi siti web su server alla moda e frequentati dai giovani come myspace o facebook ma anche cineforum, si sono lanciate nuove tipologie di azioni definite futuriste o di squadrismo mediatico, come l’assalto alla casa del popolare programma televisivo Grande Fratello ed alcune manifestazioni motorizzate per le strade di Roma. La simbologia a cui fa riferimento Casa Pound è innovativa, si lega all’immaginario della pirateria, utilizza le icone dei cartoni animati con cui sono cresciuti i giovani dagli anni ’70 in poi. Propone azioni mutuate direttamente dal movimento no global, come manichini impiccati davanti alle banche. Al tempo stesso si sbandiera alla luce del sole il passato fascista, riadattando le forme ed il linguaggio, in questo senso resta esemplificativo il manifesto con lo slogan “sostiene la squadra del cuore” con sullo sfondo una squadra fascista degli anni ’20.Casa Pound adotta dunque tecniche grafiche e comunicative che pescano direttamente nelle tecniche pubblicitarie. La loro efficacia è così ampia da giungere ad erodere l’organizzazione giovanile di A.N., Azione Giovani, costretta a correre a i ripari copiandole e scimmiottandole. Per l’autorità che si sta guadagnando e l’ammirazione di cui gode fra i giovani, per l’indubbio carisma e capacità comunicativa del suo leader, Casa Pound sembra oggi candidarsi a diventare l’unica formazione capace di riaggregare al suo interno il frammentato mondo del neofascismo.
Ma al di là delle novità, Casa Pound continua a muoversi in una prospettiva ideologica tutta inscritta dentro il neofascismo.Cominciamo dalla nuova simbologia. Casa Pound a eretto a suo simbolo una tartaruga stilizzata, simboli inedito e realizzato con tecniche grafiche moderne. Ma se si scende a vedere le motivazioni della scelta ecco che ritroviamo discorsi familiari. La tartaruga rappresenta la longevità, si porta con se la casa ed è quindi un riferimento alla lotta per il mutuo sociale, per la cultura orientale è portatrice della conoscenza «quindi è di buon auspicio per una comunità che vuole identificare nella cultura le proprie radici». La tartaruga è chiamata anche tortuga o testudo, nel primo caso rimanda al mondo fantastico della pirateria, nel secondo mentre nella testudo le legioni romane mostrarono al mondo la propria forza «dimostrando che la forza quando scaturita da un ordine verticale e da un principio gerarchico è destinata a dominare le barbarie, anche se in numero inferiore». La tartaruga di Casa Pound è disegnata su base ottagonale, per spiegarla si richiamano ragioni esoteriche e stagionali, la forza del numero 8, pratiche pagane e cosmologiche ed addirittura l’imperatore Federico II, per concludere che l’otto è stato scelto «perché abbiamo la “presunzione” di considerarci unità imperiali» in una visione del mondo spirituale in cui il singolo si realizza solo nella comunità. All’interno delle frecce, «4 frecce bianche e 4 frecce nere infatti partendo dall’esterno convergono in un centro che è simbolo dell’Asse, quel medesimo asse che è al centro del fascio di verghe» ed è l’esatto opposto del simbolo del kaos. Alla fine gli autori dichiarano che «la tartaruga di Casa Pound è un simbolo nuovo quindi, sviluppato e progettato su basi ben più antiche per un nuovo secolo di lotte, vittorie, opere e conquiste»40.
Anche le dichiarazioni di intenti rimandano direttamente all’ideologia fascista, e precisamente a quella fondata sul primato dell’azione. «L’Associazione di promozione sociale Casa Pound è un associazione regolarmente costituita e riconosciuta. E qui finisce la parte burocratica. Casa Pound agisce». Si rifiuta la vita preconfezionata, da gettare nel cesso e ci si scaglia contro il mercato. Casa Pound non fa mistero di proporsi come punto di coagulo del neofascismo italiano, negando di voler costituire un partito ma contraddicendo subito la propria affermazione. La dichiarazione si chiude con un enunciazione di obiettivi sul lungo periodo «Casa Pound Italia non è un partito politico, ma un associazione che si propone di sviluppare in maniera organica un progetto ed una struttura politica nuova, che proietti nel futuro il patrimonio ideale ed umano che il fascismo italiano ha costruito con immenso sacrificio»41.
Grandi progetti dunque, che nell’immediato trovano attuazione in un programma di azione tipico di un partito e che ricalca i moduli di quelli visti in precedenza: per la riconquista nazionale: Per la sovranità popolare contro i poteri forti; Per un controllo pubblico delle banche; Guinzaglio alle multinazionali, rilancio della produzione italiana e di una Europa autarchica; Contro la società multirazzista, stop all’immigrazione; garantire il lavoro come dovere sociale; Riqualificazione della sanità e granaria delle pensioni; Per un fisco equo; Diritto alla maternità ed alla vita e contro la scomparsa dell’Italia; Nazionalizzazioni; Sovranità energetica; Diritto alla casa; Diritto all’istruzione, alla cultura ed alla ricerca; Ritorno alla terra; Il cinema come arma più forte per un uomo sano e colto e per una nazione libera; Contro lo sradicamento dell’uomo dalla sua terra e dal suo cielo, l’arte siamo noi; Giustizia organizzata sulla base del diritto romano;
Indipendenza militare; Riscrittura della Costituzione42.
Ancora una volta un programma da fascismo di sinistra. Questo sembra pertanto essere il collante più forte fra le varie formazioni neofasciste ed il segno di distinzione del neofascismo dichiarato di inizio secolo. Un ritorno alle origini, al fascismo rivoluzionario ed attento ai problemi sociali. Ma è veramente una novità? O siamo sempre all’interno del percorso del neofascismo legato all’anima movimentista che tenta ancora una volta di rifarsi il trucco? La risposta sembra propendere verso la seconda opzione. Ancora tutti iscritti dentro allo stesso sistema di idee e di riferimenti, i neofascisti del XXI secolo riadattano le forme comunicative, cambiano i simboli, si inventano nuovi nomi, aggiornano le tematiche rautiane con i problemi nuovi, ma restano quello che sono sempre stati. Non abbandonando nemmeno le pratiche più violente. E’ stato lo stesso Iannone a guidare l’incursione notturna negli studi Rai di Via Teulada a Roma contro il programma “Chi l’ha Visto?”, in risposta alla messa in onda di un video in cui si vedevano chiaramente giovani neofascisti aggredire alcuni studenti durante una manifestazione culminata con gli scontri di Piazza Navona. Un assalto rivendicato poi per telefono da Forza Nuova. Dunque squadrismo mediatico e comunicazione, ma ancora ricorso ai vecchi metodi, e totale collaborazione in questi casi fra le varie sigle. Tutti elementi che consigliano di prendere per quelle che sono le professioni di buone fede e di rispetto delle istituzioni, delle regole democratiche, dei valori della Repubblica che provengono dal mondo neofascista, e cioè una tattica per guadagnare spazi avanzando a viso coperto. Nessuna garanzia di quello che potrebbero fare, se giungessero in qualche maniera al potere, ci viene da queste dichiarazioni smentite dai fatti e dalle stesse elaborazioni teoriche. E se il problema della conquista del potere non sembra essere all’ordine del giorno, questo non deve tuttavia farci distogliere l’attenzione. E’ improbabile che risorga un fascismo tale e quale a quello tra le due guerre, ma i gravi problemi sociali, a cui oggi si aggiunge un incipiente e gravissima crisi economica che già nel 1929 avvantaggiò Hitler, potrebbero riservarci brutte sorprese. Non è fuori discussione che gli odierni epigoni di Hitler e Mussolini non trovino spazi. Hanno criptato e mascherato davanti al pubblico molte delle loro idee più impresentabili, si muovono in maniera dinamica e demagogica su tematiche sociali esplosive, sono capaci di mettere da parte la loro simbologia più direttamente nostalgica se necessario. In queste condizione niente ci dice che non riescano a guadagnarsi nuovi spazi e nuovi trampolini per tentare l’assalto.
Le nostre democrazie di contro non hanno dato una grande prova di se, sono indifendibili sotto vari aspetti, hanno deluso i cittadini, si sono dimostrate incapaci di rispondere a domande di partecipazione, a pressanti problemi sociali, a paure ed inquietudini legate alla sicurezza ed all’identità, sono invase da forme di precarietà. Senza una radicale inversione di rotta difficilmente si troveranno argomenti in futuro per sostenere la loro bontà. Lungi dall’avvicinarci alla felicità come promesso, sembrano averci portato lontano da essa, ed hanno deluso molte speranze. Questo i neofascisti lo vedono chiaramente. Se si vuol rispondere e difendersi dalle vecchie inside nel nuovo secolo si deve dunque si riadeguare i paradigmi, come dicevamo in apertura, ma anche avere coscienza che questo rinnovamento deve essere congiunto a politiche capaci di spuntare le loro armi.

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1 PIERRE MILZA, Europa estrema. Il radicalismo di destra dal 1945 ad oggi. Roma, Carocci, 2003, p. 9.
2 Ivi, p. 19.
3 EMILIO GENTILE, Il fascino del persecutore. Gorge L. Mosse e la catastrofe dell’uomo moderno. Roma, Carocci, 2007, p. 186.
4 WALTER LAQUEUR, Fascismi. Passato, presente, futuro. Milano, Marco Tropea Editore, 2008, p. 13.
5 P. MILZA, Europa estrema…, cit. pp. 11-12.
6 FRANCESCO GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre. Neofascismo, neonazismo e movimenti populisti. In Dizionario dei fascismi. A cura di: PIERRE MILZA, SERGE BERSTEIN, NICOLA TRANFAGLIA, BRUNELLO MANTELLI. Milano, Bompiani, 2002, p. 691.
7 F. GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre…, cit. p. 692.
8 P. MILZA, Europa estrema…, cit. p. 42. F. GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre…, cit. pp. 693-694. MICHELE ANGELLA, La nuova destra. Oltre il neofascismo fino alle nuove sintesi. Firenze, Fersu, 2000, p. 29. NICOLA RAO, La fiamma e la celtica, Milano, Sperling e Kupfer, 2006, pp. 15-43.
9 F. GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre…, cit. p. 695. N. RAO, La fiamma e la celtica…, cit. pp. 69-70.
10 F. GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre…, cit. pp. 695-696. P. MILZA, Europa estrema…, cit. p. 108.
11 F. GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre…, cit. pp. 699-700. N. RAO, La fiamma e la celtica…, cit. pp. 79-98.
12 F. GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre…, cit. p. 709. N. RAO, La fiamma e la celtica…, cit. pp. 113-118.
13 HANS WOLLER, Roma 28 ottobre 1922. L’Europa e la sfida dei fascismi. Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 188-191. F. GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre…, cit. pp. 696-697.
14 N. RAO, La fiamma e la celtica…, cit. pp. 151-152.
15 P. MILZA, Europa estrema…, cit. pp. 107-109. F. GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre…, cit. pp. 710-715. GUIDO CRAINZ, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta. Roma, Donzelli, 2003, pp. 387-388.
16 P. MILZA, Europa estrema…, cit. p. 110. F. GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre…, cit. p. 715.
17 F. GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre…, cit. pp. 710-715. G. CRAINZ, Il paese mancato…, cit. pp. 363-391.
18 G. CRAINZ, Il paese mancato…, cit. pp. 370-371. Crainz continua «la ricerca coordinata da Marco Gelleni fa cogliere da vicino il crescente dispiegarsi delle violenze contro persone o cose compiute dai gruppi neofascisti: dalle 148 del 1969 (contro le 10 attribuite alla sinistra) alle 286 del 1970, sino alle 460 del 1971. Nell’autunno del 1971 la giunta regionale lombarda presenta i risultati di una propria indagine: vi sono stati 400 episodi di violenza fascista nella regione dal 1969, uno ogni due giorni. Di lì a poco, bombe rivendicate dalle SAM (Squadre d’azione Mussolini) colpiranno l’abitazione del procuratore generale di Milano Luigi Bianchi d’Espinosa».
19 N. RAO, La fiamma e la celtica…, cit. pp. 173-241 e pp. 260-266.
20 G. CRAINZ, Il paese mancato…, cit. p. 587.
21 Ivi pp. 138-140.
22 P. MILZA, Europa estrema…, cit. p. 13.
23 M. ANGELLA, La nuova destra…, cit. pp. 45-46.
24 Ivi p. 47.
25 Ivi p. 61-74. P. MILZA, Europa estrema…, cit. pp. 217-218.
26 P. MILZA, Europa estrema…, cit. pp. 209-219.
27 M. ANGELLA, La nuova destra…, cit. pp. 71-74. NICOLA RAO, La fiamma e la celtica…, cit. pp. 244-245.
28 P. MILZA, Europa estrema…, cit. pp. 216-217.
29 M. ANGELLA, La nuova destra…, cit. pp. 80-81. NICOLA RAO, La fiamma e la celtica…, cit. pp. 250-251.
30 1977 a Montesarchio, Benevento; 1978 a Fonte Romana, L’Aquila; 1980 a Castelcamponeschi, L’Aquila.
31 P. MILZA, Europa estrema…, cit. pp. 216-217. M. ANGELLA, La nuova destra…, cit. pp. 71-103 da cui è tratta la citazione p. 87.
32 M. ANGELLA, La nuova destra…, cit. p. 75.
33 Cfr: JEAN-CALUDE IZZO, Casino totale, Roma, Edizioni e/o, 2006.
34 P. MILZA, Europa estrema…, cit. p. 274.
35 W. LAQUEUR, Fascismi..., cit. P. 10. PIERRE MILZA, Europa estrema…, cit. pp. 269-294. F. GERMINARIO, Destre radicali e nuove destre…, cit. pp. 722-737.
36 RENZO DE FELICE, Autobiografia del fascismo. Antologia di testi fascisti 1919-1945. Torino, Einauidi, 2001, pp. 91-92.
37 Il programma del partito è su http://www.partitoladestra.com
38 http://www.forzanuova.org/punti_fermi.htm
39 http://www.lottastudentesca.net/index.php?option=com_content&view=article&id=47&Itemid=56
40 http://www.casapound.org/tartaruga.html
41 http://www.casapound.org/chi_siamo.html
42 http://www.casapound.org/cpitalia/programmaweb.pdf

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